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Predefinito 23-01-2010, 07:52 AM


… il Professor Plum nel salotto con il pugnale. Ok ok, non ho scoperto niente però penso di avere le idee più chiare su questo ossessivo stickink point.. Ancora sono speculazioni, ma penso di non essere molto lontano, sinceramente.

Ho sempre fatto riferimento al mitico studio, padre di tutti gli studi sullo squat,“A three-dimensional biomechanical analysis of the squat during varying stance widths” di Rafael E. Escamilla e altri autori.

A sinistra il grafico della velocità verticale del bilanciere presente nello studio, a destra la mia velocità verticale del mio bilanciere. Quando l’ho visto, mi sono emozionato: non stavo dicendo delle cazzate, allora!

A differenza di quelle cagate di studi sulle eccentriche veloci alla macchina isocinetica, quelli dove in 3 settimane si migliora la forza del 50% per scoprire che i soggetti erano sedentari indolenti da girone infernale degli accidiosi, Escamilla è uno che ha studiato lo squat sotto carico: lo studio è stato svolto digitalizzando le alzate di atleti di una gara di PL a livello nazionale, idea che, sinceramente, mi piacerebbe ripercorrere.


Stavolta ho costruito una struttura di calibrazione un po’ meglio della precedente: la prossima sarà un parallelepipedo, per ora va bene questa qua. E’ incredibile come, risolto il problema della tecnologia elettronica, le vere problematiche sono quelle hardware di bassissimo livello: per fare le cose per bene sarebbe necessario un garage di 10×10 metri dove poter lasciare tutto piazzato.

Il problema di una digitalizzazione bidimensionale è che i punti da riprendere devono giacere sullo stesso piano di calibrazione, cosa “su per giù” rispettata in quando la mia schiena è tutta sul rettangolo, di sicuro una condizione inaccettabile per misure quantitativamente corrette ma che vanno bene in questo approccio che guarda le “forme” delle alzate dando importanza al confronto fra movimenti piuttosto che al movimento in se. Prima o poi passerò ad una digitalizzazione 3d, ma adesso voglio farmi un po’ le ossa così.

Ho digitalizzato 3 punti: il centro del bilanciere, l’osso sacro al confine con L5 e un punto a 20cm dall’osso sacro indicato con una X di nastro carta, gentilmente posizionato da mia figlia che si è divertita a scotchare il babbo. Il punto non ha nessun particolare significato, della serie “già che c’ero ho indicato un punto in più” ma ha portato dati interessanti.

Ho voluto verificare se se la maglietta si sarebbe mossa durante le varie alzate, cosa che non è accaduto almeno per ciò che riguarda l’osso sacro, perciò una maglietta nera con dei punti gialli o bianchi è sufficiente.

Ho dovuto aggiornare l’analizzatore per gestire 3 punti e ho iniziato a sviluppare un modellino biomeccanico dello squattista che, pur essendo abbastanza elementare, ha delle particolarità a mio avviso abbastanza “avanzate” quali un bacino che non è un punto ma è presente un osso sacro ed un acetabolo e una prima schematizzazione dei femorali.


Devo dire che mi ha fatto una certa impressione vedere l’omino secco squattare come faccio io, “scodando” come me a differenza dell’altro che eseguiva una alzata simulata. Conoscendo la posizione della schiena, sapendo la posizione e l’angolo dei piedi è possibile in prima approssimazione dedurre come si muovono le ginocchia. E’ una parte da sviluppare, ma adesso come primo risultato va bene così.

Mi sono fissato sullo squat perché è ben più semplice della panca o delle trazioni e allo stesso tempo più complicato rispetto allo stacco: il movimento è meno tridimensionale di quanto si pensi dato che il blocco del tronco si muove sempre su un piano verticale.

Vi preannuncio che il risultato finale è ciò che già sappiamo, ciò che l’esperienza di centinaia di lifter ha già reso noto, però stavolta… lo esplicitiamo e lo scriviamo in bella copia.

Saliamo…

Analizziamo la risalita dal punto più basso, in questo caso una buona alzata con 140Kg

Ok, è un po’ complicato, spieghiamolo piano piano: in alto ho riportato la velocità delle spalle e delle chiappe. Notate come spalle e chiappe si muovano quasi all’unisono, le chiappe leggermente più velocemente dato che il grafico relativo è “sopra” quello delle spalle.

Se spalle e sacro si muovono alla stessa velocità, la schiena (il segmento che li congiunge) si muove senza variare la sua inclinazione. In questo caso le chiappe si muovono più velocemente, spingendo il culo verso l’alto di più rispetto alle spalle (vi piace l’uso dei termini tecnici “chiappe” e “culo”?). La curva dell’inclinazione della schiena, infatti, mostra come da 41° di inclinazione si passi a 37° nel punto a minima flessione.

La riga centrale indica il picco di velocità dell’osso sacro, notate come poi questa velocità rallenti fino ad un minimo, mentre la velocità delle spalle non decresce, si mantiene bella arzilla e addirittura aumenta: ciò significa che sto “ruotando indietro” la schiena estendendo il bacino per mettermi in posizione eretta e il bilanciere continua a spostarsi verso l’alto senza rallentamenti.

La sensazione è una alzata potente con il bilanciere che schizza deciso verso l’alto, senza intoppi e rallentamenti apparenti.


Questa è una alzata a 150Kg eseguita molto peggio. Non è il carico che ha fatto la differenza quanto la stanchezza e la deconcentrazione.

Osso sacro e spalle si muovono a velocità differenti, con l’osso sacro sempre più veloce delle spalle. Questo significa che la mia schiena si flette in avanti più del caso precedente: “sfuggo di culo”, e anche se inizialmente la schiena era meno flessa a 44° l’effetto finale è che mi ritrovo piegato ai soliti 37° come nel caso precedente, perdendo però 7° invece di 4° o, visivamente, invece di flettermi solo di 5cm in avanti mi fletto di 8cm e 3cm si vedono molto bene durante il movimento. Faccio sempre così quando sono stanco: uso ciò che ho di più forte, la schiena.

Al minimo della velocità delle chiappe, linea a destra, ho anche un minimo della velocità delle spalle, un rallentamento evidentissimo assente nel caso precedente, un classico sticking point. Il risultato finale, descritto nei due disegni in basso a destra dove riporto anche la posizione precedente, è che a parità di inclinazione della schiena sono 5 centimetri più in basso rispetto al caso “buono”.

L’alzata è anche più lenta, del resto andando più piano ci metto di più a tornare in piedi. Una alzata un po’ sofferta.

Il ruolo dei femorali


Vi ho già massacrato con la storia che i femorali, essendo biarticolari, estendono il bacino ma contemporaneamente flettono la tibia, un movimento assolutamente indesiderato in risalita in quanto contrastano i quadricipiti che estendono la tibia. Non solo, i femorali si trovano ad operare in condizioni di accorciamento dal lato del bacino e di allungamento dal lato della tibia, una “falsa isometria”.

Dalle misurazioni sul mio modello, per i due casi visti la lunghezza dei femorali passa da 38cm a 41 cm dal momento in cui inizio la risalita alla minima inclinazione della schiena, che è sempre 37°. Non si verifica la falsa isometria perché la schiena flette e fa allungare i femorali.

Io affermo che sia sempre necessaria una leggera flessione in avanti in risalita per creare uno stretching che attivi meglio i femorali. Ciò non significa che sia una flessione voluta, ma solo accidentale.

Sotto carico difficilmente è possibile far compiere al nostro corpo movimenti volontari troppo complessi, perciò quando inizia la risalita l’impulso è quello di contrarre i quadricipiti e conseguentemente le ginocchia saranno sparate indietro.

E’ qui che interviene l’allenamento, permettendo di coordinare i femorali, i diretti antagonisti dei quadricipiti, in un movimento di estensione del bacino. Contemporaneamente all’estensione delle tibie inizia anche una estensione del bacino grazie alla co-contrazione di questi muscoli.

Ovviamente, anche grazie ai glutei e ai lombari e bla bla bla, ma i glutei sono dei monoarticolari e non co-contraggono nulla, mentre i lombari non hanno niente a che vedere con i quadricipiti, pertanto la difficoltà maggiore è proprio la coordinazione dei femorali.

Per questo motivo avviene la flessione in avanti: una imperfetta coordinazione sotto carico. Se metto 90Kg e mi impegno per la classica alzata da manuale, quella dei libri dove immensi hulk fanno vedere come squattare a schiena dritta con il solo bilanciere, non fletterò minimamente la schiena, se metto 190Kg il giochetto mi riesce peggio.

Se però ho coordinato bene i miei femorali questa minima flessione provoca un allungamento e un conseguente riflesso da stiramento: sto usando i femorali in eccentrica e lo stretch reflex potenzia la forza generata. Perciò un po’ di flessione mi permette di chiudere bene l’alzata e nelle tonnellate di video di gente che squatta bene che ho visto su youtube questa minima flessione è sempre presente.

Addirittura, ma qui avrei bisogno di “prove” più certe, questo movimentino di flessione è presente anche nella risalita di potentissimi front squat!
In altre parole più complesse, la velocità angolare con cui si apre l’angolo schiena-femore deve essere proporzionale a quella con cui si apre l’angolo femore-tibia. Questa affermazione sarà oggetto di un’altra trattazione.

Perché ciò avvenga i glutei e i femorali devono “tirare indietro” cioè estendere il bacino tanto velocemente quanto i quadricipiti estendono la tibia. In questo caso il bilanciere sale senza rallentare.

Questa invece è una alzata peggiore della precedente: la mancanza di coordinazione fa si che il bacino continui a spostarsi verso l’alto più velocemente delle spalle perché i femorali non lo “tirano indietro” quanto basta per far salire anche le spalle. La schiena si flette.

La flessione aumenta l’allungamento dei femorali che generano così più forza: ad un certo punto questi sono così allungati da poter esercitare al meglio la loro trazione. Peccato che lo squat si sia trasformato in un good morning, esercizio più semplice dello squat proprio perché non c’è da coordinare ginocchia e bacino.

Il bilanciere ha comunque rallentato la sua corsa in maniera evidente, da cui lo sticking point classico.

Una brutta alzata è così dovuta ad un utilizzo non sincrono dei quadricipiti con i femorali, un modo per suddividere un movimento complesso in due più semplici: non estensione ginocchia ed estensione bacino contemporaneamente, complesso, ma prima estensione ginocchia e poi estensione bacino, più semplice.

Morale

Ciò che nello studio di Escmilla manca è, secondo me, l’associazione dei parametri osservati ad un giudizio complessivo delle alzate: ok, nello squat accade ciò che è stato osservato, ma in cosa differisce una bella alzata da una alzata disgustosa? La comprensione di questo permette di estrapolare non solo i parametri rilevanti ma anche i loro valori.

L’utilizzo di soggetti troppo “bravi” e anche sconosciuti ha, secondo me, impedito tutto questo, mentre uno dei vantaggi di essere io il soggetto di studio è che posso “giudicarmi”. Per quanto io abbia un ottimo massimale (200Kg raw sono un ottimo massimale su tutte le scale, lo dico senza presunzione), non ho una bella tecnica e questa peggiora con l’aumentare del peso o della stanchezza. In più, avevo l’influenza pertanto una condizione ottimale per ottenere brutte alzate se non concentrato. In altre parole, mai analizzare il top, ma la fascia intermedia. Questo, sempre.

Ci sono varie teorie sullo sticking point, il problema è che secondo me non tengono conto di come si arriva nel punto più difficile, perché non legano ciò che viene misurato con ciò che l’atleta ha voluto fare.

Senza voler essere quello bravo che ci capisce, ma solo come una mia impressione, gli studi sono troppo… meccanicistici: come se le traiettorie del corpo umano, data una posizione e dato un insieme di velocità, non possano che essere di un certo tipo.


Lo sticking point è considerato un punto di svantaggio meccanico e queste sono alcune delle cause:
  • Il movimento concentrico fa generare ai muscoli meno forza a causa della velocità generata, secondo la legge forza-velocità. Secondo me questa è una forzatura, stiamo parlando di movimento veramente lenti, mezzo metro al secondo e altri studi fanno vedere come vangano, nei calcoli, le condizioni di quasi-staticità.
  • Poiché in risalita i muscoli si accorciano, viene generata meno forza a causa della legge forza-lunghezza.
Tutto questo è certamente vero e contribuisce alla difficoltà del movimento. Però se fossero solo queste le cause, tutte le alzate dovrebbero avere lo stesso tipo di traiettoria. Invece, perché a parità di Kg certe volte faccio “bene” e certe volte faccio “male”? Ciò dipende da come io, volontariamente, uso i miei muscoli all’inversione del movimento, co-contraendo i femorali oppure no. Per questo a parità di Kg, velocità e inclinazione della schiena posso o meno ottenere risultati differenti.


Affermo che lo sticking point non dipende da altro se non da questo: vi sono difficoltà meccaniche ma l’uso del mezzo corretto permette di dominarle, altrimenti di subirle. Con carichi massimali come in una gara tutte le alzate sono identiche fra loro, perché siamo al limite e al limite i comportamenti di atleti d’elite sono bene o male sempre gli stessi.

Viceversa, è l’analisi di alzate submassimali che permette di determinare le differenze. Per confermare o confutare ciò che dico sarebbe necessario mettere in piedi un esperimento in cui atleti di livello medio, seguendo certe indicazioni, migliorano o meno il suo passaggio allo sticking point. Uno studio longitudinale, non trasversale.

Ciò non toglie che gli studi e anche questo pseudo-studio confermano che ciò che conta sono le “solite” regole che tutti conosciamo: schiena “dura” in risalita.

E la discesa?

La discesa è ciò che prepara la risalita. Per questo motivo non è importante quanto velocemente si scende ma che assetto si assume. L’alzata è, cioè, asimmetrica: in risalita sono importanti le velocità, in discesa le posizioni.

Però, della discesa parlerò nella prossima puntata perché un amico mi ha regalato un’idea eccezionale


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