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Arti marziali: schede informative
Le schede sulle principali arti marziali

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Predefinito ju jitsu tradizionale - 06-04-2008, 12:30 AM

ju jitsu tradizionale


Cenni storici

Il jujutsu è un'antica forma di combattimento di origine giapponese di cui si hanno notizie certe solamente a partire dal XVI secolo quando la scuola Takenouchi produsse una codificazione dei propri metodi di combattimento.
Ma certo l'origine del jujutsu è molto più antica e la definizione, durante tutto il periodo feudale fino all'editto imperiale del 1876 che proibì il porto delle spade decretando così la scomparsa dei samurai, si attribuiva alle forme di combattimento a mani nude o con armi (armi tradizionali, cioè spada, lancia, bastone, etc.) contro un avversario armato o meno, praticate in una moltitudine di scuole dette Ryū, ognuna con la propria specialità. Bastone, Sai e Nunchaku diventano armi, ma nascendo da semplici attrezzi da lavoro.
Il bastone infatti serviva a caricare i secchi, i sai servivano per la brace, mentre il Nunchaku era un semplice strumento usato per battere il riso. Le armi erano inaccessibili ai civili.

Si distinguevano perciò le scuole dedite all'uso del tachi, la spada tradizionale giapponese, quelle maggiormente orientate alla lotta corpo a corpo, fino alle scuole di nuoto con l'armatura, tiro con l'arco ed equitazione. Quest'ultime costituivano la base dell'addestramento del samurai, espressa dal motto Kyuba No Michi, la via (michi) dell'arco (kyu) e del cavallo (ba), che più tardi muterà nome in bushido.
Una caratteristica che accomunava tutte queste scuole era l'assoluta segretezza dei propri metodi e la continua rivalità reciproca, poiché ognuna professava la propria superiorità nei confronti delle altre.

In un paese come il Giappone, la cui storia fu un susseguirsi di continue guerre tra feudatari, il ruolo del guerriero rivestì una particolare importanza nella cultura popolare, e con esso il jūjutsu. La difesa del territorio, la disputa di una contesa, la protezione offerta dal più forte al più debole sono solo alcuni dei fattori che ne hanno permesso lo sviluppo tecnico, dettato dalla necessità di sopravvivenza.

Con l'instaurarsi dello shogunato Tokugawa (1603-1867), il Giappone conobbe un periodo di relativa pace: fu questo il momento di massimo sviluppo del jūjutsu, poiché, privi della necessità di combattere e quindi di mantenere la segretezza, fu possibile per i vari Ryū organizzarsi e classificare i propri metodi. Anche la gente comune comincia a interessarsi e a praticare il jūjutsu poiché la pratica portava un arricchimento interiore dell'individuo, data la relazione intercorrente con i riti di meditazione propri del buddismo zen. Ma la cultura guerriera era talmente radicata nella vita dei Giapponesi da spingere i samurai a combattere anche quando non ve n'era l'effettiva necessita. Ciò portava a volte all'organizzazione di vere e proprie sfide chiamate Dōjō Arashi (tempesta sul dōjō), in cui i migliori guerrieri si confrontavano in modo spesso cruento.

La caduta dell'ultimo shōgun e il conseguente restauro del potere imperiale causarono grandi sconvolgimenti nella vita del popolo: i giapponesi, che fino a quel momento avevano vissuto in completo isolamento dal resto del mondo, ora si volgevano avidamente verso la cultura occidentale che li stava "invadendo". Ciò provocò un rigetto da parte del popolo per tutto ciò che apparteneva al passato ivi compreso il jūjutsu. La diffusione delle armi da fuoco fece il resto: il declino del jūjutsu era in atto.

Il nuovo corso vide la scomparsa della classe sociale dei samurai, che avevano dominato il Giappone per quasi mille anni e il jujitsu da nobile che era scomparve insieme ad essi; i numerosi dōjō allora esistenti furono costretti a chiudere per mancanza di allievi ed i pochi rimasti erano frequentati da gente dedita a combattere per denaro, persone rozze e spesso coinvolte in crimini. Questo aspetto in particolare influenzò negativamente il giudizio del popolo nei confronti del jūjutsu poiché vedeva in esso uno strumento di sopraffazione e violenza.

Durante il periodo storico chiamato Restaurazione Meiji, si affermò grandemente in giappone il nuovo jujutsu ideato da Jigoro Kano con il nome di judo kodokan, che si proponeva come metodo educativo, insegnato nelle scuole come educazione fisica ed inserito nei programmi di addestramento della polizia giapponese. Si deve infatti ricordare come durante l'era Meiji, il Giappone formò forze armate statali al servizio dell'Imperatore basate sul modello occidentale, ma con caratteristiche autoctone. Nel secondo dopoguerra però, a causa della proibizione generale del generale MacArthur rispetto alla pratica delle arti marziali tradizionali prima, e poi dell'evoluzione sportiva subita dal Judo quando poté essere di nuovo praticato (a partire dal 1950), si riaffermò il Jujutsu come tecnica di difesa personale, accanto all'Aikido di Morihei Ueshiba.

Il jūjutsu si diffuse nel resto del mondo grazie a quanti, viaggiando per il Giappone (principalmente commercianti e militari) a partire dall'era Meiji, lo appresero reimportandolo nel paese d'origine.

Oggi è praticato in numerosi paesi del mondo, con organizzazioni anche di carattere internazionale. .Esistono molte Scuole e Federazioni che praticano Ju Jitsu; proprio per questo il governo giapponese ha da tempo istituito un Ente, il Dai Nippon Butokukai (Sala delle virtù marziali del grande Giappone), con la funzione di salvaguardare le arti marziali Tradizionali Giapponesi.
Questo Ente certifica l'effettivo collegamento tra il passato e il presente di una Scuola tradizionale, conservandone documenti e quant'altro risulti utile a certificarne l'autenticità.

Gino Bianchi ed il jūjutsu in italia

La prima fugace apparizione del jūjutsu in Italia si deve a Pizzarola e Moscardelli, marinai della Regia Marina, che nel 1908 ne diedero una dimostrazione al Re; si devono tuttavia aspettare quasi quarant'anni ed un altro marinaio, Gino Bianchi, perché il jūjutsu atticchisca in Italia.

Il Maestro Bianchi, già campione militare di Savate, era impegnato durante la Seconda Guerra Mondiale col contingente italiano nella colonia giapponese di Tien Sing in Cina dove venne a contatto col jūjutsu e, rimanendone colpito per l'efficacia, decise di diffonderlo una volta tornato in Italia.

L'opera di diffusione iniziò a Genova, nella palestra di via Ogerio Pane, dove il Maestro Bianchi insegnava gratuitamente a cinque o sei allievi nel difficile clima di ristrettezze del secondo dopoguerra; con la fine degli anni quaranta la palestra si trasferì nella sede storica di Salita Famagosta e l'opera di diffusione del jūjutsu "stile Bianchi" procedette a pieno ritmo anche grazie alle varie dimostrazioni pubbliche svolte col gruppo dei Kase Hito (uomini vento). Il "metodo Bianchi" è stato razionalizzato dal Maestro Rinaldo Orlandi che, dopo la scomparsa del Maestro Bianchi, organizzò le tecniche praticate in 5 gruppi di 20. I 5 gruppi presero i nomi delle prime cinque lettere dell'alfabeto e vennero chiamati settori:

- Il settore A raggruppa tecniche che provocano sbilanciamento dell'avversario (atterramento) e un eventuale controllo al suolo.

- Il settore B raggruppa tecniche dove è predominante la proiezione dell'avversario.

- Il settore C raggruppa tecniche che mirano allo studio degli effetti di compressione e torsione articolare (cosidette leve articolari).

- Il settore D raggruppa tecniche che mirano alla resa o allo sbilanciamento dell'avversario agendo sul suo collo (strangolamenti e torsioni).

- Il settore E raggruppa tecniche che sono la somma e il sunto dei precedenti gruppi.

Negli anni cinquanta nasce l' O.L.D.J. che raggiungerà in breve tempo 5000 soci tesserati a molti dei quali si deve il proseguimento dell'opera del Maestro Bianchi dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1964.


Il ju jitsu agonistico

Fighting System

Descrizione del regolamento ufficiale della JJIF

Il FS è una disciplina di combattimento agonistico vero e proprio, dove ci si affronta sul tatami cercando, grazie a varie tecniche di Ju Jitsu, di prevalere sportivamente sull'avversario.
Si pratica su un tatami di misura regolamentare, di 10mt x 10mt, con zona di sicurezza;l'incontro prevede un unico round da tre minuti.
Il collegio arbitrale è composto da un arbitro centrale, due arbitri laterali e un arbitro di sedia.
L'arbitro centrale dirige l'incontro, ma il punteggio espresso da ognuno dei giudici ha lo stesso valore di quello dei colleghi laterali, per cui il punteggio assegnato dovrà essere segnalato da almeno due arbitri.
Ogni arbitro porta un manicotto rosso sul braccio destro e azzurro sul sinistro, il braccio alzato in verticale ha valore di IPPON (2 punti), alzato lateralmente ha valore di WAZA ARI (1 punto).


Il combattimento si divide idealmente in tre fasi:

- Prima fase: in piedi,combattimento.I due contendenti cercano di mettere a segno punti portando colpi (ATEMI) di mano o di piede nella zona superiore del corpo.
I colpi debbano essere portati con il massimo controllo, skin-touch, come nel point karate, e le estremità sono dotate di protezioni, mentre sono consigliati sia la conchiglia sia il paradenti.
Un colpo portato tecnicamente in maniera corretta, con la giusta coordinazione, potenza e controllo, e portato sul bersaglio pieno è considerato IPPON, un colpo che non risponde appieno a questi requisiti è considerato WAZARI.

- Seconda fase: in piedi, presa. Le tecniche che si possono portare sono di due tipi: proiezione (NAGE WAZA) o lancio, e strangolamento.
Una proiezione che solleva entrambi i piedi dell'avversario da terra, o porta lo stesso a schienare nettamente, è considerata due punti o IPPON, una proiezione non perfetta o un trascinamento a terra è considerato un punto o WAZARI.
Si passa a questa fase da quella precedente quando uno dei due contendenti effettua una presa stabile.
Dalla seconda fase non si può ritornare nella precedente.
Se due contendenti in seconda fase abbandonano la presa (che non sia limitata ad un rapido contatto fra mano e judogi) l'arbitro centrale blocca l'incontro dicendo "MATE'", e l'incontro riparte dalla prima fase.

- Terza Fase: a terra. Senza interrompere l'incontro, i due contendenti continuano cercano l' immobilizzazione per un certo intervallo di tempo o cercano di portare uno strangolamento o una leva articolare. Se l'avversario è immobilizzato l’arbitro centrale chiama l’ OSAEKOMI.

All’OSAEKOMI viene attribuito un punteggio in base allo schema riportato di seguito:

- Se si arrende sottoposto ad uno strangolamento o leva, è assegnato un IPPON da tre punti.

Un'interruzione sia da parte dell'arbitro centrale (irregolarità , limiti di spazio, passività ), sia da parte dei contendenti (uno degli agonisti si alza anche con solo un ginocchio, abbandono della presa), determina la ripresa dell'incontro dalla prima fase.
L'OSAEKOMI è possibile anche con L'avversario bloccato sia in posizione supina che prona, vale a dire sul dorso o sul ventre.
Una spalla a terra mantiene l'OSAEKOMI.
Il combattimento termina allo scadere del tempo regolamentare, o quando uno dei due contendenti accumula un punto in ognuna delle tre fasi dell'incontro, anche se l'avversario ha un punteggio, per somma di punti nelle varie fasi, superiore, ma non ha accumulato i tre IPPON.



Duo system

Il DS è una gara tecnica, dove due coppie si affrontano sul tatami in una serie di tecniche di difesa personale preparate su una traccia suggerita dal regolamento.
In questo caso il regolamento prevede una serie d'attacchi prefissati, sia da presa sia da atemi (in giapponese si definisce atemi qualsiasi colpo portato con gli arti superiori e inferiori) sia con armi. Alla coppia è lasciata la scelta del tipo di difesa da applicare all'attacco.

E' previsto un arbitro centrale e cinque giudici di sedia, che formano la "giuria". Un settimo giudice al tavolo registra i punteggi.

Esistono quattro serie di cinque attacchi prefissati.
Nell'arco della gara alla coppia sarà chiesto di mostrare la propria elaborazione della difesa preparata per tre dei cinque attacchi previsti, chiamati casualmente dall'arbitro centrale.
Ad esempio, ad una coppia può essere chiesta, all'interno di una delle quattro serie, tre tecniche a caso: la tre, la uno e la quattro. Non devono essere necessariamente in ordine.

La coppia esegue le tecniche della prima serie, poi si sottopone all' HANTEI (giudizio arbitrale).

Dei cinque punteggi, compresi da uno a dieci, è scartato il più alto e il più basso. I restanti sono sommati.
Le coppie si alternano sul tatami, per tutte e quattro le serie previste. Il giudice di tavolo proclama il punteggio delle coppie e l'arbitro centrale assegna la vittoria.

Esiste il Duo System nelle specialità Maschile, Femminile e Mista.
Non c'è limite di tempo per l'incontro, ma in genere è premiata la tecnica perfetta ma veloce.

La giuria emette un giudizio sia sulla coordinazione della coppia, che sul contenuto tecnico della difesa eseguita. E' spesso considerata anche la componente coreografica, poiché dimostra in genere un buon affiatamento e sacrificio nell'allenamento.

Esagerazioni o comportamenti troppo esuberanti in genere sono sanzionati con un punteggio basso.

Qui l'arte trova applicazione nella fantasia e nell'affiatamento.
Per creare una buona coppia di DS, di livello internazionale, sono necessari tre o quattro anni di lavoro assiduo e costante.


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** Fonti (riadattate):

Wikipedia
Jujitsu.it



Ultima Modifica di Veleno : 06-04-2008 05:37 PM.
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