che pensieri avete sulla morte?
Come vivete il rapporto con la morte? ci pensate? o preferite non pensarci?
a me la visione fredda, sinistra e ansiogena data dalla religione e dalla maggioranza delle persone non piace. Preferisco di gran lunga un modo di vedere la cosa come un passaggio, un "lasciare il corpo" diciamo Certo è che non è facile quando capita a una persona che conosci Vi saluto linkando uno spezzone di un film che mi piace e che condivido YouTube - ‪guerre stellari- la saggezza di yoda‬‏ |
Io vivo male al pensiero che mi possa accadere qualcosa anzitempo. Non sopporto il pensiero di straziare i miei cari, per la mia precoce dipartita. Ma, in realtà faccio fatica a sopportare tutto ciò che possa far soffrire coloro a cui tengo. Ma l'idea di non esserci nemmeno per poterli sostenere, peggiora il tutto.
Per il resto io la vivrei bene, con spensieratezza. D'altro canto già mi è capitato di pensare di morire ( e vi svelo che in realtà sbagliavo :D) e appunto la mia unica preoccupazione fu appunto quella. Sì, sarà stupido ma vorrei esser l'ultimo a morire dei miei cari. Non vorrei causargli tale sofferenza. Preferisco soffrire io, in questo caso. La visione religiosa mi tocca come quella di dragonball, quindi non parlerò molto in merito (in realtà DragonBall è un capolavoro vero e proprio, non volevo sminuirlo, è il target d'età che fa giudicare male ;)). Per inciso è una figata la visione buddista della morte(una volta si facevano mangiare dai lupi affamati in tibet. Un po alla morte tua vita mia!)! Soprattutto per me che, fin da piccolo, ho idealizzato alla mia morte (non che ci tenessi, ma da piccolo ti fai dei viaggi mentali su tutto...) di esser messo in terra, in un campo senza bare/muffa/fiori recisi e compagni di dormita non voluti nelle vicinanze. Cmq la mia idea da piccolo era di mangiare un nocciolo di qualche pianta quando sentivo che era ora, poi morire e venire seppellito e diventando concime (:D) far crescere un enorme e imponente albero grazie all'ormai inutile carcassa. E dir che ero solare da piccolo...non immaginatemi come uno dei bimbi della famiglia adams :p. Bè poi continuo dopo a scrivere, se avrò l'ispirazione, ma ora stop che sono in ritardissimo! |
io non so cosa c'è dopo e non mi pongo problemi, quando accadrà si vedrà... serenamente... per ora cerco di godermi la vita...
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A volte ci penso, quando la senti vicina è inevitabile. Per vicina non intendo necessariamente a me, ma anche quando viene a mancare qualcuno a cui tieni. Però francamente entro in percorsi tortuosi della mia mente che non mi piacciono.
Inevitabilmente mi intristisco, mi chiudo e inizio a fare tipo filosofo. Penso al senso della vita, al tempo che passa, a quello che è passato e non torna. Sono discorsi profondi e importanti. Ma ogni volta mi tolgono il sorriso. Quindi ormai mi limito, mi blocco e non ci penso. Se devo deprimermi per cercare risposte che non posso trovare a sto punto...beata ignoranza e vivo sereno. |
io la vivo molto male, la morte mi fa paura......... Preferisco non pensarci proprio altrimenti cado in paranoia:D:D:D:D e assolutamente non voglio essere seppellito, diventare cibo per vermi non mi piacerebbe:D:D preferirei essere cremato e sparso in un bel luogo:)
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La morte è un passaggio. Il Cristianesimo lega, in modo indissolubile, la morte alla risurrezione. Anzi, per san Paolo sarebbe vana, inutile, assurda la nostra fede se non ci fosse la risurrezione. Non avrebbe quindi senso il Cristianesimo se non ci fosse alla base la risurrezione. Noi, infatti, risorgeremo perché Cristo è già risorto. Nella prima lettera ai Corinzi, San Paolo scrive: "Si è sepolti mortali, si risorge immortali. Si è sepolti miseri, si risorge gloriosi. Si è sepolti deboli, si risorge pieni di forza. Si seppellisce un corpo materiale, ma risusciterà un corpo animato dallo Spirito." Io ci penso alla morte, e prego che Dio mi conceda la fede, ci lavoro ogni giorno, il Cristianesimo è ricerca, e non possesso della verità. Ho accompagnato alla morte un frate, con un tumore che lo aveva oramai ridotto a poco più che un mucchietto di ossa, ma si è spento serenamente, sorridendomi e dando lui forza a me. |
beh...la morte....prima mi avrebbe angosciato pensare che magari domattina potevo non esserci...posso dire ed affermare che non ho paura di lei...anzi,mi è stata amica facendomi capire che tutto deve avere un senso logico prima o poi e che tutto può essere accettato....è come quando da bambini si ha paura del buio,poi cresci e t'accorgi che avevi paura del buio perchè la tua mente non vedeva ciò che c'era percependo il tutto come un pericolo un'ansia interiore
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Ci ho pensato tanto e ci penso saltuariamente. Della mia non mi preoccupo, al contrario di Liborio mi spaventa più quella altrui...anche perché è un pò misinterpretabile il discorso "muoio per primo per non darvi problemi" ;) sì ma campi di più tu :)
Non mi piacerebbe morire di una malattia che più della vita ti tolga la dignità, credo che "accelererei" il processo in una simile ipotesi. Sul "dopo" ho le mie idee, non posso dire di non credere in nulla ma la storia che risorgeremo belli e immortali dalla terra mi sembra un pò una novella raccontata per esorcizzare la paura della Fine. |
Ho paura di perdere le persone che amo, sia improvvisamente che per una malattia.
Per quanto mi riguarda, quoto Doc sull'interpretazione del Cattolicesimo. Sono convinta che la mia anima vivrà dopo il mio corpo, perciò più che della mia morte ho paura del dolore e della malattia. Soprattutto della solitudine nella malattia. Più volte mi sono immaginata sola, vecchia e malata in un letto d'ospedale, senza nessuno se non il SSNN a prendersi cura di me. Questo per me è un incubo ben peggiore della morte. Questo e malattie come certi tumori e anche malattie degenerative come l'Alzheimer che tolgono dignità sono incubi di fronte ai quali la morte è una liberazione. E nonostante io abbia 30 anni ci penso quasi ogni giorno. Perché è opportuno secondo me ricordare che non siamo eterni, e conseguentemente comportarsi con un certo senso di rispetto verso il nostro corpo. |
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Credo che quasi a tutti dispiaccia più la morte dei cari che non la propria purchè veloce e indolore.
Comunque non pensateci troppo perchè è un attimo: oggi siamo qua e domani non ci siete più :eek: |
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Più che sulla morte, m'interrogo sulla vita: alle volte mentre sto all'università, mentre mangio, faccio la doccia, parlo con gli amici, mi guardo le mani...è una cosa che faccio da quand'ero bambino e mi domando: perchè son venuto al mondo? perchè esisto? Perchè faccio questo? Chi sono veramente?
Poi guardo all'enormità dell'universo, penso: come mi sento piccolo, ma a che servo io? Paradossalmente della morte non mi interessa molto: in quel caso smetterei di interrogarmi...:D |
Io ho smesso da piccolo di chiedermi "perchè sono?", però è una domanda che mi ha turbato e incuriosito, per molto tempo.
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io nessuno è sbagliato pensarci ... spero che dopo ci sia qualcosa un posto dove ritrovare i miei cari e persone a cui ho voluto bene
pensare che tutto finisca è brutto ... spero che ci sia qualcosa intanto non ci penso e vivo sereno |
secondo me bisogna lavorare nel "regno dei vivi". Sperare in quello dei morti, per mie ideologie, è tempo perso. Penso che ognuno di noi ha la possibilità di "essere" anche dopo la morte banalmente tramite la prole e le proprie azioni, se degne di nota.
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io quando ci penso...mi prendo veramente male..perchè non penso tanto alla morte.ma penso alla vita come qualcosa di estremamente corto,e dopo di che,una volta morti,non ci sarà più niente per 1000,100000,1000000000 anni...ragazzi è spaventoso...cioè abbiamo vissuto e tutti d'un tratto non esiste piu niente,non è un brutto sogno e poi ci si sveglia,non c'è proprio piu niente...
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Punti di vista ;)
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In sostanza ciò che capita dopo l'ultimo respiro non ci deve preoccupare, perché non sarà più affar nostro, e non potremo né saperlo né comprenderlo. |
Infatti, io penso di rado a quel che ci sarà dopo l'ultimo respiro, mentre mi terrorizza quel che ci sarà prima.
E' comunque una cosa che non riesco ad accettare, nè a considerare come un passaggio naturale: per me è come se fosse sempre un torto, un'ingiustizia, una beffa crudele del destino. Questo ho pensato da ragazzina l'ultima volta che ho visto mia nonna viva e questo penso tuttora. |
E' così infatti. Spiegazioni di vario tipo del perché si muore le vedo soltanto tentativi consolatori, per cui non c'è nulla di male a dire che è un'ingiustizia. Anche perché non differenzia nè buoni nè malvagi.. una cosa brutta che succede a tutti non è che diventa bella soltanto perché non fa differenze eh
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io ci penso e ultimamente ancora di più, io prego sempre il Signore xche non faccia ammalare i miei genitori e nessuno dei miei cari e se invece dovesse accadere prego sempre che succeda a me e non a loro.
Non ho paura della morte ora , certo che sentendo le notizie per tv o sui giornali di gente di 30/40 anni colpiti da ictus/infarti etc fa pensare molto. |
La morte non è giusta o ingiusta, bella o brutta. E' un processo fisico. Punto.
Ma questo non significa che sia necessariamente la fine di tutto: è una constatazione logica, non un tentativo consolatorio; semplicemente non possiamo sapere esattamente cosa accade dopo, possiamo solo ipotizzare. Personalmente, spinto dalla curiosità ho letto un libro sul tema, attribuito al Dalai Lama, dal titolo "Lungo il sentiero per l'Illuminazione", sottotitolo "consigli per vivere bene e morire consapevolmente", dove viene descritto nel dettaglio l'intero processo del morire: secondo il buddhismo al momento della morte la Consapevolezza si dissolve gradualmente fino al suo livello più basico, una presenza mentale quasi pura e priva di capacità raziocinanti (come quella che si manifesta durante il sonno senza sogni), definita Chiara Luce; il processo del morire si concluderebbe definitivamente solo quando la Chiara Luce abbandona il corpo per entrare nello stadio intermedio, prima della rinascita successiva, il che può avvenire anche diversi giorni dopo il decesso clinico, soprattutto se la persona deceduta si è preventivamente preparata a riconoscere e gestire questo momento. Il libro dispensa consigli anche su questo. Da qui in poi, è tutta dottrina: il buddhismo ha le idee piuttosto chiare sul perchè nasciamo, esistiamo e moriamo, e personalmente mi sento molto in linea con questa visione delle cose; diciamo che la ritengo altamente plausibile sia pure con qualche revisione; del resto anche le recenti scoperte nell'ambito della meccanica quantistica lasciano intravedere che il legame tra mente e materia è molto più complesso e articolato di quanto non saremmo disposti a pensare, e che i modelli di coscienza olografica come lo Stuart-Hameroff sembrano più probabili che mai... In definitiva, credo che la mente non abbia nulla a che vedere con il corpo, e sono certo che sopravviva alla morte fisica, anche se con tutta probabilità, non sottoforma di Io e non nel modo in cui potremmo immaginare. |
mamma mia, ci pensate molto voi eh...
per quanto mi riguarda, non mi tange minimamente, ho una filosofia di vita troppo "bruta" se così si può dire...non mi importa cosa ci sia dopo, non mi importa di lasciare i cari, ho già affrontato la morte di parenti e amici, non mi spaventa affatto. spero solo che prima di morire abbia almeno completato la lista delle cose da fare, solo questo.... |
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Non pensarci è una scelta, ma per come la vedo io è solo una fuga; io preferisco affrontare e non fuggire. :) |
io credo che la paura di morire e la morte in se, sia solo un fattore che vada a rendere la vita ancora più bella da vivere sul filo del rasoio e con tanta adrenalina! Guardarla in faccia non ha prezzo...
Dopo si vedrà quando arriverà! |
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ma.....perchè un ma c'è sempre.... quando avrò dei figli tutto questo potrebbe cambiare.... |
potrebbe cambiare anche senza averli, anche solo perchè gli anni passano. Neanche io alla tua età ci pensavo più di tanto...
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dico solo: PER ORA non è un pensiero che mi spaventa... sai cosa mi spaventa davvero? rimanere invalido, a qualsiasi livello, non poter più fare ciò che mi tiene letteralmente in vita, le mie passioni...ecco cosa mi spaventa a morte! |
Non è molto diverso, in realtà, almeno per come la vedo io...La morte è spesso preceduta dall'invalidità, e dal non poter più fare ciò che hai fatto o che vorresti fare. Pochi muoiono sul colpo, senza dover affrontare la consapevolezza che stanno morendo, che secondo me è la cosa più spaventosa.
OT: ma non c'era scritto l'Angolo del Divertimento in questa sezione? :confused:;) Io mi son già depressa abbastanza, ora cambio! |
io alla morte ci sto pensando abbastanza spesso in questi anni, e penso ad essa tenendo conto ogni singolo parametro da voi indicato..quindi concordo con la maggioranza di voi, sia perchè ho paura per me stesso, sia perchè ho paura per i miei cari (tanto di perderli prima di morire quanto di esser loro sottratto)..
però la cosa che mi angoscia di più è l'idea del non essere per l'eternità..io penso a quando sono nato: mi son ritrovato sulla terra ad un certo punto senza essermi reso conto del "prima"..quando morirò sarà il contrario ed è questo che mi angoscia, il non essere, il non essere conscio..è un concetto che la mente non può immaginare..mi spaventa.. tutto ciò è aggravato dal fatto che ormai il mio precipitare nell'ateismo sta ultimandosi..non trovo più conforto nell'idea dell'aldilà tipica di qualunque religione..ormai non ci credo più..da cristiano sono diventato deista, ora non sono più neanche quello, ormai.. non sono più capace di credere in un essere superiore che premia od eleva (con tutte le varie sfacettature presenti nella sfera delle religioni mondiali) le persone che sono state meritevoli in vita.. lo ritengo un concetto primitivo diffuso da una popolazione storicamente oppressa (nel caso della religione cristiana), che non fa altro che cercare di dare una speranza per combattere la paura, di ogni persona, di estinguersi, la ritengo solo un meccanismo di difesa della mente umana (ogni popolazione di ogni epoca e cultura ha una propria specifica idea del dopo vita, tutti rifiutano la morte); ritengo la religione nient' altro che un'invenzione effettuata per fornire delle risposte a certi fenomeni naturali quando la scienza non era sviluppata, la ritengo una pre-scienza, ora superata, ritengo che il pensare all'astratto sia al giorno d'oggi superato e inutile se non per una crescita mentale e culturale fine a se stessa (il tutto senza offesa per i credenti, ho il massimo rispetto, anche perchè per un 10% lo sono anche io, forse più che credente sono speranzoso) se penso a quella cristiano, e vedo come è nata ed evoluta la figura del paradiso (sempre reinterpretata a seconda delle epoche e delle scoperte scientifiche, partendo dalle anime che camminano in cielo, per arrivare all'anima come essenza che viene trasportata in un luogo più o meno parallelo ed indeterminato), se penso a figure mitologiche come adamo ed eva che contrastano con la scoperta dei fossili, ecc..non posso non crederci, e chiedermi: come si fa a credere in una religione credendo solo ad alcune parti di quanto da essa professato? Di qui il mio deismo, che non sto a spiegare, e dopo di esso l'ateismo, e il non credere in nulla che abbia a che fare con una qualsiasi superstizione mai esistita..addirittura ero arrivato a chiedermi se l'universo fosse davvero infinito e se non fosse in realtà una creazione da parte di altri (quasi come se noi fossimo frutto di un esperimento altrui):D |
la morte:
per il Buddha storico essa è stata uno dei 4 Messaggeri Divini . egli dopo aver visto nell'ordine: un vecchio un malato un cadavere che veniva portato al rogo un Monaco errante abbandonò il palazzo e si mise a cercare una Via per sfuggire alla Rinascita ed al Samsara . perciò nella morte, a parte il naturale estinguersi delle condizioni fisiche/psichiche e ...kammiche( sempre Buddhista sono ) per cui siami in vita , vedo un messaggero che mi pone urgenza nella pratica, per far si che non rimandi a domani ciò che di buono per me e per tutti gli esseri senzienti posso fare NON oggi, ma ADESSO NEL QUI E ORA . il pezzo in lingua Pali che mi vedete spesso scrivere quando in qualche post si parla di qualche persona che è morta( Anicca vata sankhara, uppadavaya-dhammino; uppajjitva nirujjhanti, tesam vupasamo sukho. Tutte le condizioni, ahimè, sono impermanenti/ sorgono e passano/ essendo nate dovranno morire/ la cessazione delle condizioni porta la pace. ) viene recitato 3 volte dai Monaci Theravada e dai laici ai funerali, poichè ancora non sappiamo dovè è la coscienza-essenza-anima-mente-chimatelaunpòcomevipare di colui/colei che è dipartito, se ascolta queste parole ha una possibilità in più di liberarsi e raggiungere il nibbana, poichè il significato intrinseco è quello di lasciare andare tutte le condizioni che portano a un esistenza , rinunciando a una rinascita quale che sia questa ultima umana, animale, paradisiaca o in altri luoghi . Per questo un Maestro come Buddhadasa consigliava qualcosa che suonava come ...che il tuo ultimo pensiero sia non mi attaccherò a nulla, poichè non attaccandosi a niente raggiungeremo la Liberazione. Ma voglio farvi un dono, metto in questo post uno scritto che è stato redatto in base a un discorso orale tenuto dal Maestro che ha riformato la mia tradizione Buddhista. Le sue parole valgono più delle mie:unica premessa, si tratta di un Thailandese che parla a una Thailandese, lì tante cose si danno per scontate, perciò, mente aperta e....vuotate la vostra tazza di Thè prima di riempirla con quello che vi verso io...( citazione Zen) La nostra vera casa (consigli a una moribonda) del venerabile Ajahn Chah © Ass. Santacittarama, 2007. Tutti i diritti sono riservati. SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA. Dal libro "Il Dhamma vivo" Traduzione di Letizia Baglioni. Estratto del libro "Il Dhamma vivo", su gentile concessione dell'Editore Ubaldini. Disponiti ad ascoltare il Dhamma con rispetto. Ascoltami con attenzione, come se di fronte a te ci fosse il Buddha in persona. Chiudi gli occhi, mettiti a tuo agio, raccogli la mente e concentrala. Con umiltà, fai spazio nel tuo cuore alla Triplice Gemma della saggezza, della verità e della purezza, per esprimere la tua devozione all'Illuminato. Non ti ho portato alcun dono materiale; solo il Dhamma, l'insegnamento del Buddha. Rifletti: nemmeno il Buddha, che pure aveva tutte le virtù, poté sottrarsi alla morta fisica. Invecchiò e abbandonò il corpo, deponendo questo pesante fardello. Ora anche tu devi imparare a sentirti paga dei molti anni in cui hai potuto contare sul corpo. Ormai dovrebbero bastarti. Pensa alle stoviglie che hai usato per tanti anni, tazze, piattini, posate .... quando le hai comprate erano nuove fiammanti, ma ora mostrano i segni dell'uso. Alcune si sono rotte, altre sono sparite, quelle che restano sono consunte, nessuna ha l'aspetto di una volta, perché questa è la loro natura. Anche il tuo corpo è così. Dal giorno della tua nascita ha subito continui cambiamenti, passando dall'infanzia all'adolescenza e infine alla vecchiaia. Accettalo. Il Buddha ha detto che nessuna delle condizioni, mentali, fisiche o esterne, rappresentano il sé: la loro natura è il cambiamento. Contempla questa verità con chiarezza. Questa massa di carne che giace qui consumandosi è la realtà, è il saccadhamma. La vicenda del corpo è la realtà, è l'eterno insegnamento del Buddha. Il Buddha ci ha insegnato a contemplarla, ad accettarne la natura. Dobbiamo imparare a fare pace con il corpo, in qualunque condizione si trovi. Il Buddha ci ha insegnato a far sì che solo il corpo resti rinchiuso, e a non lasciare che la mente resti imprigionata con lui. Ora che il tuo corpo comincia a cedere agli assalti del tempo, non opporre resistenza; ma non lasciare che la tua mente si deteriori insieme a lui. Mantienila separata. Nutrila con l'esperienza diretta della verità, delle cose così come sono. Il Buddha ha insegnato che la natura del corpo è questa e non può essere altrimenti. Essendo nato, invecchia e si ammala e infine muore. È una grande verità quella che ti si sta rivelando. Osserva il corpo con saggezza e prendine coscienza. Se la tua casa crolla o prende fuoco, di qualunque calamità si tratti, riguarda solo la casa. Se è travolta da un'inondazione, non lasciare travolgere la mente. Se scoppia un incendio, fa che il fuoco non ti bruci il cuore. È solo la casa che brucia, che si allaga, e la casa è fuori di te. Lascia che la mente abbandoni suoi attaccamenti. È il momento giusto. Hai vissuto a lungo. I tuoi occhi hanno visto una quantità di forme e di colori, le tue orecchie hanno udito suoni a profusione, hai fatto tante esperienze. Esperienze, appunto, nient'altro. Hai mangiato cibi deliziosi, e tutti quei buoni sapori erano appunto buoni sapori, tutto qui. Quando l'occhio vede una bella forma, di questo si tratta... di una bella forma. Una brutta forma è soltanto una brutta forma. L'orecchio percepisce un suono carezzevole, melodioso, e non è nulla di più che questo. Un suono sgradevole, dissonante, è semplicemente un suono sgradevole. Il Buddha insegna che nessun essere a questo mondo, ricco o povero, giovane o vecchio, umano o animale, può conservare a lungo il proprio stato. Cambiamento e perdita sono esperienza universali. È una realtà della vita rispetto alla quale non possiamo nulla. Ciò che invece possiamo fare, secondo il Buddha, è contemplare il corpo e la mente per coglierne la natura impersonale, vedere che nessuno dei due è 'me' o 'mio' ma che la loro è una realtà relativa. Pensa a questa casa: è tua solo sulla carta. Non puoi portartela appresso. Stesso discorso per le ricchezze, i beni e la famiglia: sono tuoi soltanto in teoria. In realtà non appartengono a te, ma alla natura. Non pensare che questa verità riguardi solo te: siamo tutti nella stessa barca, compresi il Buddha e i suoi discepoli illuminati. L'unica differenza rispetto a noi è che loro accettano le cose per quelle che sono. Sanno che non potrebbero essere altrimenti. Sicché il Buddha ci ha insegnato a perlustrare attentamente il corpo, dalla piante dei piedi alla cima della testa, e poi a ritroso dalla testa ai piedi. Osserva il corpo. Che cosa vedi? C'è qualcosa che sia intrinsecamente puro? Riesci a scorgere una qualche sostanza permanente? Tutto il corpo è in uno stato di costante degenerazione. Il Buddha ci ha esortato a vedere che non ci appartiene. È normale che il corpo si così, perché tutti i fenomeni condizionati sono soggetti al mutamento. E come potrebbe essere altrimenti? In realtà non c'è nulla di sbagliato nel corpo. La sofferenza non deriva dal corpo, ma da un modo di pensare sbagliato. Quando si vedono le cose in maniera distorta, la confusione è inevitabile. Pensa a un fiume. L'acqua per sua natura scorre verso il basso, mai al contrario. È la sua natura. Se uno andasse a mettersi sulla riva di un fiume con la pretesa di veder scorrere l'acqua verso l'alto, sarebbe uno sciocco. E questo suo sciocco atteggiamento gli impedirebbe di trovare la sua pace, lì come altrove. La sua opinione infondata, quel suo pensare alla rovescia, lo farebbe soffrire. Se avesse una visione retta, capirebbe che l'acqua scorre inevitabilmente verso il basso e che senza comprendere e accettare questo fatto non può aspettarsi che confusione e frustrazione. Il fiume che asseconda la pendenza è come il tuo corpo. È stato giovane, è invecchiato, e ora scorre incontro alla morte. Non desiderare che sia diverso, non c'è nulla che tu possa fare. Il Buddha ci esorta a vedere la natura delle cose e quindi a lasciar andare il nostro attaccamento a esse. Prendi rifugio nel lasciar andare. Medita incessantemente, anche se ti senti stanca e senza forze. Lascia che la tua mente si accompagni al respiro. Fai qualche respiro profondo e poi àncora l'attenzione al respiro, aiutandoti con il mantra "Buddho". Rendi la pratica continua. Più ti senti debole, più la concentrazione dovrebbe essere sottile e accurata, per poter fronteggiare le sensazioni dolorose che emergono. Quando cominci a sentirti stanca, sospendi tutti i pensieri, lascia che la mente si raccolga e poi rivolgiti alla consapevolezza del respiro. Continua a recitare mentalmente "Buddho, Buddho". Dimentica le apparenze. Non afferrarti ai pensieri circa i tuoi figli o i parenti, non afferrarti assolutamente a nulla. Lascia andare. Fai che la mente converga su un solo punto e poi lasciala riposare tranquilla nel respiro. Lascia che il respiro diventi il suo unico oggetto. Concentrati fino al punto in cui la mente diventa sempre più sottile, le sensazioni diventano irrilevanti e senti nascere in te uno stato di grande chiarezza e vigilanza. Allora, a poco a poco, qualunque sensazione dolorosa cesserà spontaneamente. Alla fine, tratterai il respiro come se fosse un parente che è venuto a trovarti. Quando un ospite se ne va, lo accompagniamo sulla soglia per salutarlo. Lo seguiamo con lo sguardo finché imbocca il viale e scompare alla vista, poi rientriamo in casa. Con il respiro facciamo lo stesso. Se è pesante, sappiamo che è pesante; se è sottile, sappiamo che è sottile. A mano a mano che diventa sempre più leggero continuiamo a seguirlo, risvegliando nel contempo la mente. Alla fine il respiro scompare del tutto e non resta altro che una sensazione di vigilanza. È allora che 'incontriamo il Buddha'. Abbiamo quella consapevolezza limpida e sveglio che chiamiamo 'Buddho', il conoscitore, il risvegliato, il luminoso. Questo è incontrare il Buddha, dimorare col Buddha, con saggezza e chiarezza. Il Buddha che è morto è solo quello storico. Il vero Buddha, quel Buddha che è chiara e splendente conoscenza, lo si può vedere e raggiungere ancora oggi. E quando lo raggiungiamo, il cuore è unificato. Quindi molla la presa, lascia andare tutto, tutto tranne il conoscere. Non farti ingannare dalle immagini e dai suoni che possono emergere in meditazione. Lasciali cadere. Non trattenere assolutamente nulla, resta semplicemente con questa consapevolezza unificata. Non pensare al passato o al futuro, resta dove sei, e raggiungerai quel luogo dove non si avanza, non si torna indietro e non ci si ferma, dove non c'è nulla da afferrare o a cui aggrapparsi. E perché? Perché non c'è l'io, nessun 'me' e nessun 'mio'. Non c'è più nulla. Il Buddha ci ha insegnato a svuotarci così, a non portare nulla con noi... a conoscere, conoscere e lasciare andare. Realizzare il Dhamma, la via della libertà dal ciclo di nascita e morte, è un'impresa che ognuno deve portare a termini da solo. Quindi persevera nello sforzo di lasciar andare e di comprendere gli insegnamenti. Metti energia nella tua contemplazione. Non preoccuparti dei tuoi cari. In questo momento sono così come sono, in futuro saranno come te. Nessuno può sfuggire a questo destino. Il Buddha ha insegnato a lasciar cadere tutto ciò che è privo di realtà intrinseca. Se lasci cadere tutto vedrai la verità, diversamente non la vedrai. È così che funziona. Ed è lo stesso per tutti. Quindi non aggrapparti a nulla. Anche se ti scopri a pensare, va bene lo stesso, basta che sia un pensare saggio, e non insensato. Se pensi ai tuoi figli, pensaci con saggezza, non da ignorante. Considera con saggezza qualunque cosa diventi oggetto di attenzione, sii consapevole della sua natura. Conoscere con saggezza significa lasciar andare e non alimentare la sofferenza. La mente è radiosa, gioiosa e serena. Una volta abbandonate le distrazioni, non è più frammentata. In questo momento l'aiuto e il sostegno che ti occorrono puoi averli dal tuo respiro. È un lavoro che spetta a te e a nessun altro. Lascia che gli altri facciano il loro. Hai il tuo compito, il tuo dovere da compiere, non accollarti quelli che spettano alla tua famiglia. Non farti carico di nient'altro, lascia andare tutto. Lasciar andare calmerà la mente. Adesso la tua unica responsabilità è concentrare la mente e renderla tranquilla. Tutto il resto lascia agli altri. Forme, suoni, odori, sapori... che ne se occupino gli altri. Lasciati tutto alle spalle e fai il tuo lavoro, adempi al tuo dovere. Qualunque cosa emerga nella mente, paura del dolore, paura della morte, preoccupazione per altre persone, sia quel che sia, dille: "Non disturbarmi. Ora non mi interessi più". Quando vedi emergere quei dhamma, continua semplicemente a ripeterti questo. Cosa si intende per dhamma? Dhamma è tutto, non c'è nulla che non sia un dhamma. E il 'mondo' che cos'è? È esattamente lo stato mentale che ti assilla in questo momento. "Cosa faranno? Chi si prenderà cura di loro quando non ci sarò più? Riusciranno a cavarsela?" Tutto questo non è altro che il mondo. Anche il semplice emergere di un moto di paura rispetto al dolore o alla morte, è mondo. Sbarazzatene! Il mondo è così com'è. Se gli permetti di dominare la tua mente la renderà offuscata e incapace di conoscersi. Quindi, qualunque cosa appaia nella mente, pensa soltanto "Non mi riguarda. È impermanente, insoddisfacente, impersonale": Se pensi che vorresti vivere ancora a lungo, soffrirai. Ma anche pensare che sarebbe meglio morire subito o il prima possibile non va bene. È sempre sofferenza, no? Le condizioni non ci appartengono, obbediscono alle leggi di natura. Non puoi fare nulla per cambiare il corpo. Puoi abbellirlo un pochino, renderlo momentaneamente attraente e pulito, come le ragazze che tingono le labbra, e si lasciano crescere le unghie; ma quando arriva la vecchiaia, ci ritroviamo tutti nella stessa barca. Il corpo è così, non è possibile cambiarlo. La mente, invece, possiamo renderla migliore e più bella. Una casa di legno e mattoni può costruirla chiunque, ma il Buddha ha detto che quella non è la nostra vera casa, è nostra per modo di dire. È casa nostra nel mondo, e obbedisce alle leggi del mondo. La nostra vera casa è la pace interiore. Una casa esterna, materiale, può essere bella, ma non è un vero luogo di pace. C'è sempre qualche preoccupazione, qualche ansia. Perciò quella non è la nostra versa casa, è qualcosa di esterno. Presto o tardi ci toccherà abbandonarla. Non possiamo viverci in eterno perché in realtà non appartiene a noi, appartiene al mondo. Stesso discorso per il corpo. Immaginiamo che sia il nostro 'io', che sia me o mio, ma in realtà non è affatto così, è un'altra casa del mondo. Fin dalla nascita il tuo corpo ha fatto il corso naturale; ora è vecchio e malato e non puoi fare nulla per impedirglielo. È così che vanno le cose. Volerle diverse sarebbe sciocco, come pretendere che un'anatra assomigli a un pollo. Prendere atto che è impossibile, che un'anatra è un'anatra e un pollo è un pollo, che un corpo necessariamente invecchia e muore, dona coraggio e forza. Per quanto desideri che il corpo continui a durare, non lo farà. Il Buddha ha detto: "Aniccā vata sankhārā/ uppāda vaya dhammino/ uppajjitvā nirujjhan'ti/ tesam vūpasamo sukho". [Formula tradizionale che si recita in occasione delle cerimonie funebri: "Tutte le condizioni, ahimè, sono impermanenti/ sorgono e passano/ essendo nate dovranno morire/ la cessazione delle condizioni porta la pace"] Il termine sankhārā si riferisce al corpo e alla mente. I sankhārā sono impermanenti e instabili. Appaiono e scompaiono, sorgono e passano, eppure tutti vorrebbero che fossero permanenti. È pura follia. Guarda il respiro. Dopo essere entrato, esce, è la sua natura, è così che dev'essere. L'inspirazione e l'espirazione devono alternarsi, il cambiamento è necessario. L'esistenza delle condizioni si deve al cambiamento, non puoi impedirlo. Rifletti: potresti espirare senza inspirare? Sarebbe piacevole? Potresti fermarti all'inspirazione? Vogliamo che le cose siano permanenti, ma è impossibile. Una volta entrato, il respiro deve uscire. E una volta uscito entra di nuovo; è naturale, no? Essendo nati invecchiamo e moriamo, ed è assolutamente naturale e normale. Il genere umano è sopravvissuto fino a oggi perché le condizioni hanno fatto il loro mestiere, perché inspirazione ed espirazione hanno continuato a darsi il cambio. Non appena nasciamo moriamo. Nascita e morte sono indissolubili. Pensa a un albero: dove ci sono radici ci sono rami, dove ci sono rami ci sono radici. Sono inseparabili. È curioso vedere quanto cordoglio e angoscia susciti la morte e quanta allegria e contentezza susciti invece la nascita. È pura illusione, nessuno considera i fatti lucidamente. Secondo me, l'occasione più adatta per piangere è quando nasce un bambino. La nascita è morte, la morte è nascita; il tronco è la radice, la radice è il tronco. Se proprio vuoi piangere, piangere per la radice, per la nascita. Rifletti: se non ci fosse nascita non ci sarebbe morte. Capisci? Non preoccuparti troppo delle circostanze, pensa semplicemente: "Le cose stanno così". È il tuo unico compito. In questo momento nessuno può aiutarti, famiglia e beni non possono far nulla per te. Adesso solo la pura consapevolezza può esserti di aiuto. Perciò, non esitare. Lascia andare. Liberarti di tutto. Tanto, se anche non lo fai tu, le cose ti stanno lasciando comunque. Te ne accorgi di come le varie parti del tuo corpo, zitte zitte, se la stanno svignando? I capelli, ad esempio. Da giovane li avevi neri e folti. Ora iniziano a diradarsi. Ti lasciano. I tuoi occhi erano sani e forti ma ora sono deboli e non vedono più tanto bene. Quando ne hanno abbastanza, i vari organi ti salutano e se ne vanno, non abitano qui in pianta stabile. Da bambina avevi i denti sani e robusti, ora tentennano o forse hai la dentiera. Gli occhi, le orecchie, il naso, la lingua, tutto vuole andarsene, perché non è casa sua. È impossibile abitare in pianta stabile nelle condizioni, ci si può solo fermare un poco prima di ripartire. Come un inquilino miope che fa la guardia alla sua casupoletta. Ha i denti malandati, la vista difettosa, acciacchi dappertutto, niente che voglia restare al posto suo. Perciò, non devi preoccuparti di nulla, perché questa non è la tua vera casa, è solo un riparo provvisorio. Dal momento che sei venuta in questo mondo, rifletti sulla sua natura. Tutto quanto si prepara ad andarsene. Guarda il tuo corpo. Vedi qualcosa che sia ancora com'era prima? La tua pelle è la stessa di un tempo? E i tuoi capelli? Non sono più gli stessi, vero? Dove sono finiti? È la natura, la realtà delle cose. Quando arriva il momento, le condizioni se ne vanno per i fatti loro. A questo mondo non si può fare affidamento su nulla, è un circolo interminabile di agitazione e ansia, di piacere e dolore. Non c'è' pace. Quando ci manca una vera casa siamo come viandanti senza meta che vagabondano di luogo in luogo, fra una breve sosta e una nuova partenza. E finché non ritorneremo a casa, quella vera, ci sentiremo smarriti, come chi lascia il paesello natio sapendo che solo al suo ritorno potrà trovare agio e sicurezza. È impossibile trovare la pace autentica in questo mondo. Non ce l'ha il povero e non ce l'ha il ricco; non ce l'ha adulto e non ce l'ha il bambino; non ce l'ha ignorante e non ce l'ha il professore. Da nessuna parte c'è pace, la natura del mondo è questa. Chi ha poco soffre, chi ha molto soffre lo stesso. Bambini, adulti, vecchi e giovani... soffrono tutti. La sofferenza della vecchiaia, la sofferenza della gioventù, la sofferenza della ricchezza, la sofferenza della povertà... sempre e soltanto sofferenza. Se osservi la realtà in questa luce vedrai anicca, l'impermanenza, e dukkha, l'insoddisfazione. Perché le cose sono impermanenti e insoddisfacenti? Perché sono anatta, non-io. Tanto il tuo corpo malato e dolorante quanto la mente che è consapevole della malattia e del dolore si definiscono dhamma. Ciò che è senza forma, come pensieri, sentimenti e percezioni, si definiscono nāmadhamma. Quello che è vittima di acciacchi e dolori si definisce invece rūpadhamma. Materia e non materia sono entrambi dhamma. Sicché viviamo con i dhamma, nei dhamma, e siamo dhamma. Fondamentalmente non esiste alcun 'io', ci sono solo dhamma che sorgono e passano continuamente com'è nella loro natura. A ogni istante subiamo nascita e morte. È questa la realtà delle cose. Quando pensiamo al Buddha, alla verità delle sue parole, sentiamo che è veramente degno di devozione e di rispetto. Ogniqualvolta vediamo la verità, siamo di fronte al suo insegnamento, anche se non abbiamo mai praticato il Dhamma. Però, se ancora non abbiamo visto la verità, quand'anche conoscessimo la dottrina e l'avessimo studiata e praticata, saremmo ancora dei senzatetto. Cerca di afferrare questo punto. Tutte le persone, tutte le creature viventi, sono sul piede di partenza. Dopo aver vissuto un appropriato periodo di tempo, devono fare il loro corso. Tutti, ricchi, poveri, giovani e vecchi, dovranno affrontare questo cambiamento. Quando ti rendi conto che la sua natura è questa, il mondo comincia a sembrare privo di attrattiva. Quando ti accorgi che non c'è nulla di intrinsecamente reale su cui fare affidamento, provi un senso di sazietà e di disincanto. Disincanto non significa provare avversione; la mente è limpida e vede che non c'è nulla da fare per rimediare a questo stato di cose, che è semplicemente la natura del mondo. Prenderne coscienza ti permette di lasciar andare l'attaccamento, lasciar andare con una mente che non è né felice né triste ma accetta serenamente le condizioni poiché ne vede saggiamente la natura mutevole. "Anicca vata sankhārā": tutte le condizioni sono impermanenti. Per dirla in breve, l'impermanenza è il Buddha. Se vediamo una condizione impermanente per quello che è, scopriamo che è permanente. È permanente nel senso che è soggetto invariabilmente al mutamento. Questa è la permanenza che possiedono gli esseri viventi. C'è una trasformazione continua, dall'infanzia alla vecchiaia, e proprio quella impermanenza, quella tendenza al mutamento, è permanente e invariabile. Se ti metti in questa prospettiva, conoscerai la pace del cuore. È un destino comune a tutti, non riguarda solo te. Viste in questa luce, le cose perderanno la loro attrattiva e nascerà il disincanto. Il compiacimento per la dimensione sensoriale svanirà. Capirai che possedere molto significa avere molto da lasciarsi alle spalle. Chi ha poco, ha poco da abbandonare. La ricchezza è solo ricchezza, una vita lunga è solo una vita lunga... niente di speciale. Quello che conta è costruirci una casa come ci ha insegnato il Buddha, costruircela con il metodo che ti ho spiegato. Edifica la tua casa. Lascia andare. Lascia andare finché la mente raggiungerà quella pace che è libera dall'avanzare, dal tornare indietro e dal restare fermi. Il piacere non è la tua casa, il dolore non è la tua casa. Piacere e dolore si consumano e svaniscono. Il grande Maestro vide che tutte le condizioni sono impermanenti e quindi ci esortò a liberarci dai nostri attaccamenti. Quando arriviamo al termine della nostra vita non abbiamo scelta comunque, non possiamo portare nulla con noi. Perciò, non è meglio mollare tutto prima? È un carico pesante da trasportare, perché non sbarazzarcene subito? A che scopo trascinarcelo appresso? Lascia andare, rilassati, e lasciati accudire dai tuoi familiari. Chi accudisce gli infermi cresce in bontà e in virtù. Il malato che offre agli altri questa opportunità dovrebbe sforzarsi di non creare complicazioni. Se soffre, se è in difficoltà, lo comunichi apertamente e conservi uno stato mentale positivo. Chi si prende cura dei genitori malati farebbe bene a coltivare premura e gentilezza badando di non cadere nell'avversione. È una buona occasione per ripagare il debito nei loro confronti. Dal giorno della nascita e per tutta l'infanzia fino all'età adulta siete dipesi dai vostri genitori. Il fatto che oggi siate qui si deve alle mille forme di sostegno che vostro padre e vostra madre vi hanno dato. Dovete a entrambi una sconfinata gratitudine. Dunque mi rivolgo a voi, figli e familiari, che vi trovate riuniti qui quest'oggi: pensate che vostra madre adesso è vostra figlia. Prima eravate figli suoi, ora le fate da madre. Invecchiando, giorno dopo giorno è tornata bambina. La memoria vacilla, la vista è debole, l'udito non proprio perfetto. A volte farfuglia parole incomprensibili. Non prendetela a male. Anche voi che accudite la malata dovete imparare a lasciar andare. Non siate rigidi, lasciatela fare a modo suo. A volte, quando un bambino fa i capricci, i genitori gliela danno vinta per amore del quieto vivere, per farlo contento. Ora vostra madre è come una bambina. Ricordi e percezioni le si accavallano nella testa. A volte confonde i nomi, o vi chiede di portarle una tazza quando magari le serve un piatto. Succede, non prendetela a male. Dal canto tuo, tieni presente la gentilezza di chi ti accudisce, e sopporta il dolore con pazienza. Allena la mente, non lasciarla dispersa e confusa, e non creare complicazioni a che si prende cura di te. Voi che la accudite, coltivate la virtù e la gentilezza. Non provate ripugnanza per i compiti più ingrati, come ripulirla da muco, catarro, urina e feci. Fate del vostro meglio. Datevi una mano fra voi. È l'unica madre che avete. Vi ha dato la vita, vi ha fatto da maestra, da medico e da infermiera; è stata tutta per voi. Crescere i figli e assicurare loro un avvenire è il grande merito dei genitori. Ecco perché il Buddha insegnò le virtù di kataññū e katavedī, la capacità di riconoscere il proprio debito di gratitudine e la volontà di ripagarlo. Sono due dhamma complementari. Se i nostri genitori sono indigenti, malati o in difficoltà, faremo del nostro meglio per aiutarli. Questa è kataññū-katavedī, la virtù che fa girare il mondo, che preserva l'unità della famiglia donandole stabilità e armonia. Oggi, in occasione della tua malattia, ti ho portato il dono del Dhamma. Non ho oggetti materiali da offrirti, quelli che vedo in questa casa sembrano più che sufficienti. Quindi ti offro il Dhamma, un bene il cui valore dura nel tempo, un bene inesauribile. Dopo averlo ricevuto lo puoi spartire con chi vuoi, non si resta mai senza. È la natura della Verità. Sono felici di avere avuto la possibilità di offrirti il dono del Dhamma e spero che ti dia la forza per affrontare il dolore. |
P.S
Dhamma con iniziale Maiuscola = Insegnamento del Buddha dhamma con iniziale minuscola= fenomeni condizionati/oggetti percepiti dai sensi e non . |
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