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IronPaolo 08-09-2008 10:14 AM

Periodizzazione - parte 3 - Supercompensazione per tutti!
 
Ai bei tempi dell’Atletica Leggera facevamo i pesi dopo l’allenamento, nel casottino di lamiera vicino alle tribune. Eravamo completamente autodidatti, allo stato brado. Non avendo alcun contatto con il mondo e le teorie delle palestre, interpretavamo il “fare i pesi” come una estensione dell’allenamento stesso, perciò applicavamo le stesse idee.

Non eravamo allenatori o preparatori, perciò semplicemente copiavamo quello che facevamo in pista. Era normale per noi avere un diariaccio e uno straccio di cronometro, era normale interpretare gli esercizi in termini di “metto più Kg”, ed era normale impostare una qualche forma di progressione per ottenere questo risultato con un sistema che era “prima ci si fa il culo e poi si trasforma questo culo in qualche altra cosa”.

Del resto il nostro allenatore ci faceva allenare così: una fase di carico invernale, suddivisa in periodi, poi quando iniziava la stagione delle gare si scalava il volume delle prove e si cercava di andare più forte. L’allenatore segnava i tempi sull’agenda e il recupero era una variabile importante. Per forza di cose noi seguivamo anche nei pesi questo tipo di metodologia: non perchè fossimo “imparati” ma perchè eravamo cresciuti in quel modo.

Con mio sommo sconcerto, iniziando a frequentare il mondo del bodybuilding mi accorsi che tutta questa roba era assente, che le persone vagavano a caso in palestra con un foglio in mano, e che, incredibilmente, le grandi novità ritenute necessarie per ottenere qualcosa erano proprio “programmare”, “ciclizzare”, “avere un diario”.

Era assolutamente innovativo quello che ragazzini di 16-18 anni davano per scontato. Ma dove ero capitato?

Mitragliatrice alzo zero. Fuoco.


La cosa che mi ha sempre lasciato stupito del mondo della palestra, per me che vengo da un pianeta dove i pesi sono sempre stati interpretati in maniera “prestazionale”, è che le lotte di religione (presenti in ogni aspetto della vita umana) vertono essenzialmente sul volume di allenamento.

Lo schema sopra riportato è una esemplificazione sintetica ma completa di quanto accade. Lo scontro fra le armate dei crociati BIIsti contro le orde degli infedeli Weideriani è su una retta. Avanti e indietro, per l’eternità. Ma se su Google Maps facessimo lo zoom indietro, scopriremmo una cosa sorprendente più del fatto che la Terra non è piatta.


Gli estremi, si toccano. In questa grande guerra per la supremazia della scheda di allenamento nessuno mette in dubbio che ogni esercizio vada tirato fino all’inverosimile, costi quello che costi: è quello che si chiama “andare a cedimento”.

Sarebbe troppo complicato spiegare perchè c’è il mito del “cedimento oltre la Morte”, fulcro di ogni allenamento, ma a grandi linee il motivo è che il cedimento è semplice da capire: si carica il bilanciere, si picchia duro, doccia. Non si può mai sbagliare, perchè si tratta sempre di andare a manetta. E’ appagante, perchè la retorica del “duro lavoro” è presente in ogni aspetto del comportamento umano, ma lo è anche perchè la scarica di endorfine che segue un allenamento al massimo, tirato e che è andato come uno si sarebbe aspettato è qualcosa di assolutamente drogante.

Complice della diffusione endemica del cedimento mortale è il fatto che le persone non hanno molto tempo per allenarsi (o dicono di non averlo), e se io posso allenarmi 1 o massimo 2 volte a settimana, se manco mi tiro un po’ il collo, ma dove penso di andare?

Il tutto, cioè, è molto logico e consequenziale e per molti aspetti anche corretto. Il problema è che il cedimento, oltre che un metodo, è una filosofia di allenamento che impregna tutte le palestre del mondo.

“Ah che palle che fai, sei bravo solo tu… mediocre di qui, stagnante di là, il cedimento è da deficienti, allora spiegacelo tu che sei tanto bravo”. Ok, ce l’ho fatta a rendermi antipatico? Vi prego di credere che dal vivo io sia molto più alla mano di quanto non sembri su e-carta: balbetto perchè voglio dire le cose troppo in fretta, gesticolo, straparlo. Sopportereste una serata con me, dài… anche perchè lo sport preferito di mia moglie si chiama “sputtanarmi con gli amici”, e vi racconterebbe di quando mi collego con il wi-fi dal cesso o parlo da solo per concentrarmi nello stacco chiuso nella stanza piena di miasmi rivoltanti dato che la scureggia è libera.

Un esempio che spero chiarisca

Che il “cedimento” sia una filosofia risulta evidente quando viene alterata la ricerca scientifica pur di trovare conferma a quello che pensiamo sia giusto.

Avete mai sentito che la produzione di acido lattico sia un fattore importante per l’ipertrofia? L’acido lattico fa salire il pH dei tessuti, c’è un rilascio di GH, sale il testosterone. Oppure… boh… c’è un rilascio di noradrenalina e sale il glucagone, o forse erano acido nitrico e citrato di potassio. Vabbè, in palestra ci sono così tanti biochimici che sanno di sicuro cosa sale e cosa no.

Comunque, l’acido lattico “serve alla massa”.

Ci sono studi che fanno vedere questo, magari utilizzando campioni di studio che sono sedentari larvali. Dove entra il “cedimento” in tutto questo? Alla fine il risultato che di solito si tirano fuori da questi studi è: se il lattato serve, è bene tirare tutto alla morte, intrupparsi di lattato paralizzante per fare massa.

Ma se i livelli di lattato sono importanti, un protocollo che li mantiene elevati permettendo di continuare ad allenarsi non sarebbe migliore? Perchè, cioè, devo fare 1×10 alla morte? Non sarebbe meglio 10×1 con 30” di recupero? Nel primo caso quando l’acido lattico è oltre una certa soglia mi devo fermare, nel secondo posso stare un po’ più basso ma macinare più Kg. E poi, un allenamento in cui eseguo due sedute di fila in modo da tenere il corpo in uno stato di acidosi mediamente per più tempo non è meglio di due sedute distanziate di 3 giorni?

Non dico che io abbia ragione (anzi, non ce l’ho), ma a fronte di idee si cerca sempre la soluzione più semplice: se una cosa serve si tira alla morte.

Ok, e allora?

Mi preme sottolineare che la Teoria della Periodizzazione non prevede la filosofia del cedimento (il metodo sì, perchè è UN metodo). Non può perchè il cedimento isola ogni seduta dalle altre: tiro alla Morte, non mi interessa quello che accadrà. Ma “periodizzare” significa invece mettere in fila le sedute con uno scopo, e ogni seduta ha un impatto su quella successiva e viene influenzata dalla precedente.

Se questo è chiaro in ambito sportivo, è assolutamente impossibile da comprendere in palestra, perchè incredibilmente si ritiene il bodybuilding un qualcosa di diverso dal resto delle altre attività fisiche. Anche io sono cascato in questo errore, e anche io ho passato i miei bravi anni a vegetare con risultati che non mi soddisfacevano.

Poiché il cedimento è semplice quanto appagante, si capisce al volo. Viceversa ficcare nella testa che può non essere la soluzione a tutti i problemi presuppone barbose considerazioni sotto la doccia, quando sotto la doccia solitamente si parla dei tanga delle tipe in sala fitness.

Rendetevi conto che nessun tennista allena il rovescio fino a che il braccio non si paralizza, e nessun tiratore smette di sparare quando è così di fuori da scambiare la moglie per la sagoma. “Allenarsi tanto” in ambito sportivo significa molto spesso “allenarsi tante volte”, ognuna in uno stato di relativa freschezza.

Capite il punto? La filosofia del cedimento è senza memoria: ogni seduta è a se stante.


I vostri progressi negli ultimi anni che tipo di andamento hanno avuto? Come l’emozionante curva blu o piuttosto come la deprimente rossa? Nel secondo caso state galleggiando: magari buoni risultati, ma che non si sono mai superati.

Ripeto: se siete soddisfatti, bene, che problema c’è? Non essendo pagati per allenarsi, va bene così. Ma se leggendo siete incuriositi, sappiate che se potete allenarvi con continuità 3 volte a settimana, qui ci potrebbero essere delle idee forse interessanti.

Avrò supercompensato?

Cosa succede quando mi alleno? Sottoporre l’organismo ad uno stress fisico pone il corpo in uno stato di esaurimento che va recuperato. Sono innumerevoli i cambiamenti chimico-fisici che avvengono (ne esamineremo alcuni in un prossimo articolo sui DOMS), e risulta difficile descrivere gli effetti dell’allenamento utilizzando una miriade di numerelli e di parametri.

Nascono, perciò, dei modelli semplificati. Sottolineo: sem-pli-fi-ca-ti. Uno di questi è la teoria della Supercompensazione.


Questo è un classico dei classici: sebbene sia difficile definire con precisione cosa sia il livello di preparazione, intuitivamente ogni attività/sport ne ha uno. Quale è il parametro che stabilisce se uno è più bravo di un altro o è migliorato rispetto a se stesso in un dato ambito? Difficile esplicitare una definzione. Però è sempre possibile stabilire dei riferimenti… io ho 3×10x100Kg di panca, sono più “preparato fisicamente” di chi a parità di peso etc etc ha 3×10x90Kg, ho fatto 2×180 di stacco e un mese fa avevo 1×180, sono più “preparato”.

La curva blu rappresenta perciò il mio livello di bravura, che gli anglosassoni chiamano preparedness. In ogni grafico che si rispetti su questo tema manca l’unità di misura sull’asse verticale, e questo accade quando il grafico è qualitativo. Ricordatevelo: “qualitativo” significa “che rende un’idea di come dovrebbe essere”, e se è un’idea… non è la realtà. Non fate come quelli che memorizzano questa roba e non gliela togli più dalla mente.

Analogamente, l’asse orizzontale è il tempo, ma nel grafico non vengono mai indicati i secondi, i minuti o i secoli. Anche questo è un andamento qualitativo. Ma in questo caso, ci torneremo sopra.

Ho un certo livello di preparazione, ad un certo punto mi alleno. L’allenamento è uno stress fisico, il mio corpo l’accusa. Ho i DOMS, sono tutto rincriccato, perdo forza. In altre parole, sono impossibilitato per un certo periodo di tempo a fare quello che avrei potuto fare prima di allenarmi. Il mio livello di preparazione decresce a causa dell’effetto indotto dall’allenamento.

A livello microscopico questo calo è dovuto al danno muscolare sui sarcomeri indotto dalla produzione di forza, alla la fuoriuscita dei fluidi cellulari, all’incremento di acidità dei muscoli e del sangue e a 3000 altre cose. Il corpo si prepara per sopperire a questa situazione, cercando di ripristinare le condizioni iniziali.

Il significato della curva che va giù e poi torna su è proprio di condensare in maniera semplice quello che sarebbe più corretto spiegare con pagine e pagine di biochimica: il corpo compensa lo stress. Ma fa di più: si pone in una condizione tale per cui può sopportare meglio un eventuale nuovo stress, diventando più forte. Il corpo super-compensa, portandosi ad un livello più alto di preparazione.

Ma, vi prego, state attenti! La supercompensazione non è solamente un discorso di ipertrofia, c’è molto di più: è specifica. Se la richiesta è “correre più a lungo” ci sarà un aumento di capillarizzazione dei muscoli e un incremento della capacità di trasporto dell’ossigeno e di smaltimento dei rifiuti metabolici, se invece si chiede “devi essere più forte” ci saranno non solo adattamenti nei sarcomeri, ma anche nel sistema nervoso per migliorare le capacità di inviare segnali elettrici ben indirizzati e precisi, se ho bisogno di “essere più bravo a Call Of Duty 4” verrà sviluppata una miglior coordinazione occhi-dita per essere svelti sul pad della PS3

Il modello è lecito e plausibile: del resto lo potete provare sulla nostra pelle, no? Mi alleno, sono tutto rotto, recupero e quando torno a riallenarmi vado “un po’” meglio. Però non dovete farvi fregare dalla semplicità del modello.


Se il corpo supercompensa ogni stimolo, è vantaggioso cadenzare gli stimoli in modo tale da ripartire dal punto in cui il mio stato di forma è superiore alla situazione preesistente: dobbiamo riallenarci quando abbiamo supercompensato, e siamo nel picco prestativo. Così facendo è possibile ottenere un progressivo miglioramento e al termine del periodo di allenamento il mio livello di preparazione è superiore all’inizio. Mi sembra ragionevole.


Viceversa, allenarsi quando non abbiamo ancora recuperato pone lo stimolo in un momento in cui non siamo nel pieno delle nostre capacità fisiche, e perciò la successiva fase di esaurimento risulterà ancora più intensa in negativo. Dare stimoli secondo questa cadenza risulta essere svantaggioso in quanto non diamo modo al corpo di recuperare. Anche questo mi sembra plausibile, del resto allenarsi da stanchi porta a risultati inferiori alle aspettative… o no?


Il giochetto funziona anche al contrario: aspettare troppo tempo fra gli allenamenti porta a superare il picco supercompensativo, con perdita di prestazioni. Il successivo allenamento porta un incremento minore non tanto perchè non sia performante quello che facciamo, ma proprio per la distanza temporale che separa le sedute.

Molto bello, ma adesso che faccio?

Permettetemi perciò una piccola polemicuccia tanto per riscaldare la vostra permanenza al bagno (perchè voi leggete questa roba sopra la tazza, vero? Il bagno è per me meglio della vasca d’isolamento di Stati di Allucinazione per estraniarsi dal mondo esterno). Per correttezza vi dico che su queste cose sono un autodidatta, e che non ho fatto un corso, ma ho saccheggiato letteralmente dispense universitarie, libri e quant’altro, ma oltre a questi e a pochi altri disegnini che vi mostrerò non ho trovato niente di diverso.

Mi sembra che la teoria della supercompensazione sia spiegata tanto per dare una parvenza di infarinatura teorica, tanto per dire che c’è qualcosa che giustifica quello che facciamo, tipo “boh… qualcuno l’ha studiata, a me basta sapere che esiste”. Non si va oltre questi 4 grafici colorati, senza analizzare le implicazioni.

In questo mi tornano in mente le lezioni di meccanica quantistica per gli ingegneri, necessarie a capire il funzionamento dei semiconduttori. Provate a chiedere ad un ingegnere come funziona un transistor, perchè amplifica: tanti bei discorsi su Heisemberg, la barriera di potenziale, i quanti, bla bla bla, poi alla fine si cade nelle spiegazioni degli elettroni a palline. Perchè, alla fine, i transistor sappiamo che funzionano, e li usiamo. Perchè funzionano sono cazzi di altri che si sono fatti due palle a farli andare.

Per la Supercompensazione è la stessa cosa: ok,c’è, ed è quella che spiega certe cose. Dato che poi è pura teoria e non mi fa scrivere un programma, inutile perderci troppo tempo in un corso dove si devono fornire informazioni ben più spendibili.

Perciò uno dei più gravi errori non è dovuto alla teoria in se ma all’interpretazione. Mi spiace se qualcuno si sente chiamato in causa, ma questo è il mio punto di vista. Credo che questa interpretazione sbagliata derivi proprio dal fatto che la teoria viene spiegata nelle prime parti di qualsiasi trattazione, in maniera molto superficiale per poi passare alle cose metodologiche più pratiche.

Ma niente è più deleterio di un modello semplice, d’impatto, che però è spiegato in maniera semplicistica: la teoria così spiegata si cala perfettamente sul senso comune, ma il senso comune molte volte è un cattivo criterio di scelta.

Faccio un po’ di critiche al modello non perchè mi piaccia sempre andare contro, ma perchè, come tutte le cose, un modello è utile fino a quando spiega la Realtà, poi se non lo fa più, si fa evolvere in qualcosa di più aderente a quello che vediamo intorno a noi.

Il Picco del Diavolo


Il punto è: se questo (beep) di picco è così importante, come faccio a beccarlo e a allenarmi in maniera furboscientifica?

E qui che poi si entra nel Gran Casino. Perchè, ragazzi, questo è UN MODELLO. Una curva del genere rappresenta il ciclo di scarica e carica del glicogeno muscolare, da cui tutto è derivato, ma mal si presta a modellare comportamenti complessi. Non ficcatevi in testa questo grafico, perchè vi farete male.

Un primo aspetto critico è che la teoria non indica criteri quantitativi per determinare il picco prestativo. Non lo dice. Non mette nemmeno le unità di misura sull’asse del tempo… Perciò, non potete derivare nessuna indicazione. Ricordatevelo. Vedremo come fare in seguito. Se seguo la teoria in senso stretto dovrei riallenarmi solamente sul picco supercompensativo, perciò il timing dell’allenamento diventa fondamentale. Quasi maniacale.

C’è chi dice “ah non vado, non ho supercompensato”. Ma dove… ma che film avete visto? L’intero vostro corpo funziona come una curva blu disegnata con la Bic? Ma dài… e se invece il picco fosse passato? E quale è un criterio per determinare che inizia la salita verso il picco? Che non ci sono più DOMS? Mmmmmm

Quanto durano questi andamenti? Ok, dài… si parla di qualche giorno, non di mesi, questo è chiaro. Ma per darvi un’idea di quanto possa essere insidioso ragionare su modelli prestampati, immaginiamoci questa situazione: voglio fare squat 2 volte di fila, quale è la distanza ottimale fra i due allenamenti? Aspetto qualche giorno e provo, scegliendo un momento in cui i DOMS sono calati, o “mi sento ok”. Si, ma dopo 2, 3, 4, 5 giorni? Il problema è che la focalizzazione sul picco impedisce una corretta interpretazione qualitativa.


In realtà, se potessimo avere tutto il tempo che ci pare per sperimentare su noi stessi, il momento migliore per rifare squat sarebbe il giorno dopo la prima seduta o, addirittura, effettuare i due allenamenti uno di mattina e uno di sera.

“Ahhhhhhhhhhh eresia, è il Diavolo che parla per la tua bocca”. Aspettate che ho la testa ruotata di 180°… ecco… ora uno spruzzo di vomito verde. Ok, fate finta che stia parlando con voce demoniaca. Mettiamola così: vi è mai capitato di essere disintegrati 2 o anche 3 giorni dopo una potente seduta di squat? Perchè? Direi che è abbastanza antiintuitivo: dovreste essere disintegrati subito dopo, non 3 giorni dopo… ma è così.

Se vi allenate il giorno dopo, l’allenamento viene meglio che nei giorni successivi. A me è capitato molte volte di dover scegliere fra due allenamenti di fila di squat e di stacco o dover saltare il secondo: le volte che ho scelto la prima opzione ho constatato che la cosa era assolutamente fattibile e sorprendente.

Addirittura, anni fa feci degli esperimenti nel fine settimana, con sedute di squat mattina e sera: il calo serale nello squat 1×20 era di 2 ripetizioni a parità di Kg (il 10% perciò) mentre se la mattina facevo un 3×6 e la sera un 2×10 potevo addirittura nel secondo allenamento andare molto meglio.

Semplicemente, era come se avessi fatto una seduta sola con una “pausona” di recupero molto lunga, e la curva della supercompensazione non aveva il tempo materiale di flettersi nella fase di esaurimento.

Ora non fate i Bibbì con l’acciaio al cromo-molibdeno colato nel cervello (il Bibbì può raggiungere un grado di durezza mentale superiore a quello dell’ingegnere, che a sua volta è sempre superiore a quello del diamante): non sto dicendo che dovete allenarvi 2 volte di fila o la mattina e la sera, ma che le cose possono essere molto più complicate di una semplice linea blu. Non fissatevi sul timing degli allenamenti, sul picco e quant’altro, vi prego.

Globale o locale?

Il secondo aspetto di una interpretazione troppo rigida è considerare la supercompensazione globale e non specifica. La fatica è sempre specifica e non ci vuole la scala per capirlo: se oggi faccio panca domani o dopodomani posso fare squat anche se ho i pettorali fumanti, e viceversa. Secondo la teoria della supercompensazione sarei in pieno periodo di esaurimento, perciò non potrei ottenere risultati.

Dovremmo entrare nell’ottica apire che di sistemi che supercompensano ce ne sono molti, quanti sono i parametri che variano a seguito dell’allenamento. E ognuno ha il suo tempo per tornare al livello precedente e superiore. Ormoni, muscoli, impulsi nervosi, tutte strutture cellulari che devono supercompensare.

Citando Carlo Buzzichelli, un grande preparatore, “esistono molti sistemi energetici e tutti supercompensano, in intervalli diversi”


Nel disegno ho riportato l’effetto di due allenamenti distanziati nel tempo per due distretti muscolari diversi. Il secondo allenamento risente del primo anche se i gruppi muscolari non sono direttamente coinvolti, semplicemente perchè “siete stanchi”. Il primo allenamento è un elemento di stress come potrebbe essere il non aver dormito la notte: indirettamente causa un effetto.

Il secondo allenamento (curva continua in basso) perciò ha un recupero più lungo rispetto a quanto ci si aspetterebbe se fosse svolto da solo (è la curva tratteggiata - ok, non è che se fate panca oggi lo squat di domani lo recuperate in 10 giorni, è solo per dare un’idea). Ma il secondo allenamento influenza anche il recupero del primo, che evolve secondo la linea continua in alto e non secondo quella tratteggiata relativa ad un allenamento isolato.

L’interazione è mutua perchè entrambi gli allenamenti agiscono sulla stessa entità: voi.

Ho due supercompensazioni, in pratica, che non si susseguono, cioè non è che la seconda parte da un certo punto della prima, come nel primissimo disegno. Però si influenzano. Immaginatevi che quando vi allenate fate partire un sacco di curve di questo tipo, in tempi diversi, con durate diverse, il cui risultato complessivo è di sicuro molto complesso.

Per semplificare, potremmo definire una curva che è l’interazione di tutte le altre, e potremmo chiamarla fatica sistemica, un livello di fatica globale per l’organismo di cui dovete tenere conto. La fatica sistemica rappresenta il livello di stress complessivo a cui sottoponete il corpo, e risente dell’allenamento e di tutti gli stimoli ambientali.

Attenzione: è l’andamento di questa curva che vi manda in overtraining, non le singole. Be careful!!

Perciò, vedete quanto il vostro corpo è complicato? E voi stessi, sicuramente, avete avuto modo di constatarlo. La fatica è sistemica e specifica: “giocare” su questi aspetti porta a potersi allenare meglio e più efficacemente.

Seriale o parallela?

Il terzo aspetto è che la supercompensazione è presentata in modo seriale: stimolo, esaurimento e recupero avvengono sempre in sequenza. Il miglioramento è sempre a seguito di un recupero, e una interpretazione del genere, per gli amanti del bodybuilding è funzionale alla filosofia del Sacrificio Eroico: mi massacro in palestra, poi recupero e la prossima volta sono più forte. Semplice, brutale. Perchè non dovrebbe funzionare? Weideriani e BIIsti discutono del “quanto fare”, ma non del fatto che dopo una battaglia il guerriero abbia bisogno di riposo.

L’esaltazione furiosa per il singolo allenamento porta a non curarsi dell’effetto globale degli allenamenti stessi in un periodo di tempo. In palestra gli allenamenti sono sempre scorrelati fra loro, come già detto senza memoria. Ok, ogni allenamento ha uno scopo: oggi gambe, domani spalle, fra 3 giorni braccia e così via, ma è irrilevante che sia spalle-gambe o gambe-spalle.

La filosofia del Cedimento fa parte di questa visone: io tiro alla morte e recupero, più tiro, più sono bravo. Tanto recupero. Questa visione senza memoria con ogni allenamento non è legato ai precedenti trova nella supercompensazione serializzata la giustificazione “scientifica” di questa filosofia.

Però, come sappiamo, nei vari sport non si ragiona così. Attenzione che considerare il bodybuilding come qualcosa di diverso dalle attività sportive prestazionali è una visione romantica quanto fallimentare, alla lunga.
La teoria della supercompensazione va saputa dominare. Perciò, se siete nella fascia di galleggiamento delle vostre prestazioni, date una chance a quello che scrivo.

Il coniglio dal cappello.

Un classico: sparare merda, far rullare i tamburi e… siore e siori, pensavate di essere fritti e invece ecco la soluzione! Non solo, per la serie “Ah ecco!”, bastava solo premere F10 invece di F11, girare la rotellina a destra invece che a sinistra!

La soluzione non è invece semplice, perchè le cose semplici sono finite da quando il palestraro ha scoperto che nello squat era più facile staccare il bilanciere dagli appoggi in alto che direttamente da terra (non lo sapevate? All’inizio non esistevano gli appoggi per lo squat, e non sto scherzando!)

Come sempre in ambito scientifico, i limiti di una teoria portano allo sviluppo di un’altra. La Dual Factor Theory è un altro modello di semplificazione dei fenomeni biologici connessi allo stress indotto dall’allenamento.


In questa teoria, molto intrigante, il livello di preparazione è dovuto a due fattori assolutamente disgiunti: l’allenamento causa fatica (fatigue) ma anche un miglioramento delle abilità messe sotto stress (fitness). In altre parole ogni volta che mi alleno mi stanco ma anche miglioro, solamente che la fatica, più intensa ma che si esaurisce entro un certo intervallo di tempo, copre il miglioramento, meno intenso ma più duraturo.

Notate che separare le due componenti ha l’innegabile pregio di non dover aspettare il recupero per avere un miglioramento! Non miglioro A CAUSA del recupero, sono già migliorato. Il recupero EVIDENZIA il miglioramento.

La Dual Factor Theory perciò eliminando la serializzazione apre le porte ad una interpretazione dell’allenamento in cui non occorre aspettare il picco per riallenarsi, ma è possibile considerare l’effetto cumulativo di sequenze di allenamenti in cui lo scopo è “migliorare” tenendo a bada la “fatica”.

Anche in questo caso, però, denuncio nel materiale che ho trovato una certa fretta espositiva, che banalizza quello che è un modello interessantissimo.Il problema è che usata male questa teoria equivale a fornire una motosega ad uno che sente la voce di Dio nel cervello: le possibilità di stragi aumentano notevolmente.

Se il miglioramento è disgiunto dal recupero, tutte le sette del Volume Stellare trovano una giustificazione scientologica a massacrarsi di sedute, a fare quantità piuttosto che qualità. Ho trovato degli schemi che si suppone basati su questa teoria che sono delle orge di allenamento, raccapriccianti. Tanto, c’è qualcuno (la teoria) che dice che va bene e che basta allenarsi fitto fitto perchè si migliora comunque…

Oltre a questo terrificante aspetto, se concettualmente è una rappresentazione valida e “ganza”, avere due curve rende meno immediata l’assimilazione del tutto.

In più, come sempre nel Bibbì, quando ci sono due scuole di pensiero non è che c’è un confronto sereno e costruttivo, ma discussioni a base di bazooka caricati a pomodori e uova marce.

La supercompensazione eretica secondo Paolino

Ok ok, esagerato, presuntuoso… il solito. Mettiamola così: non è che ho inventato una teoria che ha il mio nome, ma vi illustro quello che io ho capito e che secondo me serve a persone normali che vogliono allenarsi decentemente. Non devo allenare Bolt del resto, no?

Partiamo da un particolare schema di allenamento della teoria della Supercompensazione, il microciclo shock.


Se le sedute sono messe in modo tale da allenarsi nel periodo di esaurimento, la stanchezza aumenta. Dando modo all’organismo di recuperare otteniamo una maggiore supercompensazione. Il microciclo shock trova post proprio nella teoria della supercompensazione. Viene usato per superare uno stallo, per incrementare le prestazioni, ma… perchè funziona? Questo è un punto in cui le spiegazioni che ho trovato non sono poi chiarissime.

Perchè dovrei avere un risultato superiore se gli stimoli sono seriali e indipendenti? E’ un punto importante, a mio avviso, che non viene trattato con attenzione.


La spiegazione che si trova è che gli allenamenti sono visti come una specie di “allenamentone”, perciò ad uno stimolo superiore corrisponde un adattamento superiore. Fermi tutti, non andiamo oltre come si fa di solito: soffermiamoci sul fatto che, anche nella teoria della Supercompensazione, in qualche parte della trattazione alle masse, gli allenamenti sono considerati concatenati, legati fra loro.

Il punto è che questo aspetto è relegato ad una parte della visione complessiva: la parola “shock” indica una situazione di “fuori dalla norma”, altrimenti che shock sarebbe? In realtà il corpo umano funziona SEMPRE in questo modo, considerando gli stimoli nel tempo in maniera globale.

Partiamo invece di qui: sapete cosa succede ad allenarsi sempre con questi “shock”? Farete il botto? Troppo stress?Mmmmm io dico che facendo le cose in un certo modo, lo shock diventa la normalità.


Ovviamente, non poteva mancare la genetica. Appare evidente a tutti che la capacità di recupero da un allenamento sia estremamente variabile da individuo ad individuo: è una individualità come la percentuale di fibre, il tipo di sistema nervoso, la capacità di stoccare grasso o muscolo.

Però, a questo punto, non viene mai fatto il passettino successivo. Ogni caratteristica umana ha due aspetti: il suo valore assoluto e la sua capacità di variazione. In altre parole, ogni aspetto umano può essere “allenato”. Ci sarà chi parte da un livello superiore a quello di un’altro, ma ognuno può allenare quello che ha e migliorare, no? In altre parole, lo sfigato può diventare meno sfigato, e “quanto meno” è una caratteristica: ci sarà quello condannato all’eterna dannazione, quello che potrà raggiungere il Purgatorio e quello che andrà in paradiso. Ma comunque è possibile una forma di allenamento.

Perchè, pertanto, la capacità di recupero non potrebbe essere allenata? Non fatevi ingannare dai grafici che di solito trovate: hanno tutti in comune una cosa: la forma delle curve blu è sempre la stessa, variando solo l’altezza ma mai la larghezza.

Mi lascia molto perplesso (nel senso vulcaniano del termine che mi fa assumere quell’espressione tipica del Signor Spock con un sopracciglio sollevato) quando leggo le argomentazioni sulle paleodiete dove i paleofan si lanciano in pindarici voli senza paracadute, per poi non proseguire con il proprio pensiero anche in altri campi. Il corpo umano è fatto per tollerare volume di lavoro. Volume medio-basso e prolungato.

Milioni di anni fa non è che facevano lo squat ME con gli elastici, ma piuttosto migrazioni al freddo e al gelo o sotto il caldo torrido, per giorni, mesi, con pochissimo cibo, dormendo all’aperto. Oppure, senza andare alle ere di Noè, immaginatevi i marinai nelle spedizioni di Magellano, mesi in barche che non erano quelle dell’MSC o della Costa eh… eppure? Molti morivano, ma molti no. Adattamento.

Oppure, meno drammaticamente, avevo amici quando mi allenavo che d’estate andavano a lavorare al frantoio, turni di giorno e di notte, lavorino poco simpatico. I primi giorni erano di fuori, poi però si allenavano un po’ e alla fine riuscivamo anche a ottenere dei risultati decenti.

La più potente macchina adattativa dell’Universo, sopravvissuta a milioni di anni di Evoluzione si fa mettere in ginocchio da due allenamenti in croce? Ma dài…

Ora un esempio su cui ragionare: diciamo che avete 3×6x120Kg di squat, e vi premiano come “impiegato del mese” non se fate 3×6x140Kg, ma 3×6x110 Kg 3 volte in una settimana. “ah ma è impossibile”, “ah ma io sono un hardgainer”. Ok, l’impiegato del mese solitamente è il più leccaculo, ruffiano, antipatico e saccente dell’ufficio, perciò non vale la pena sbavare per questa roba. Se però fate 3x(3×6x110Kg) avete la possibilità di torturare con l’elettricità il vostro capo senza conseguenze legali.

Ecco una strategia: supponiamo che normalmente vi alleniate ogni 5 giorni con allenamenti tipo 3×6x100Kg (supponiamo eh… è un esempio, cazzarola!)

1. Partite con uno squat da 5×6x80Kg – facile, no?
2. Recuperate 4 giorni invece di 5
3. Squat 5×6x80Kg – ce la fate bene
4. Recuperate 3 giorni invece di 4
5. Squat 5×6x80Kg – idem, ce la fate bene, non lagnate, sono 80Kg…
6. Recuperate 5 giorni
7. Tornate al punto 1, caricate 5Kg in più e ripartite per altre 2 volte. Incredibile, siete a 5×6x90Kg. E ce l’avete fatta bene, l’ultimo 5×6x90kg un po’ faticoso e impastato. Terminato il giro, andate al punto 8
8. Passate a 4×6x95Kg e ripetete il giochino, poi fate anche 4×6x100Kg. Lo so che non ci credete, ma ce la farete. Scalare di una serie rende il tutto più fattibile.
9. Passate a 3×6x100Kg, poi a 3×6x105Kg e infine a 3×6x110Kg, sempre secondo questa logica. Alla fine avete fatto 2 allenamenti di 3×6x110Kg con 3 giorni di distanza. Questo è il giro più difficile.
10. L’ultima settimana fare lun 3×6x110Kg, mar 3×6x110Kg, sab 3×6x110Kg. Le vostre capacità di recupero sono migliorate, perciò 2 allenamenti di fila li reggete, poi recuperate 4 giorni e fate il terzo. Fine, avete vinto.

Non venitemi a cercare se non vincete il premio, è un esempio. Non so se ce la farete, dài… ma di sicuro riuscirete a svolgere allenamenti di cui non pensate nemmeno di avere la possibilità.

La capacità di generare volume di lavoro è quella più facilmente allenabile se vi purificate della logica del Sacrificio. Puttana Eva, c’è gente che perchè si allena un po’ di più o fa un po’ di aerobica pensa di evaporare come neve al sole… ma il corpo umano si adatta meglio al volume che all’intensità.

Ah… c’è da chiedersi a che servirebbe una roba del genere, ma questo lo vediamo dopo.


Il grafico qua sopra illustra quello che accade quando comprimo la distanza fra le sedute (le barre rosse si avvicinano): con la giusta combinazione di carico, volume e intervallo di tempo fra gli allenamenti, la curva del recupero si schiaccia fra le sedute, cioè il corpo umano impara a recuperare prima. Oltre alla capacità di spostare grandi carichi, il corpo umano può migliorare la capacità di recuperare fra sessioni di allenamento!


Quello che accade è che voi diventate più bravi a recuperare fra una seduta e l’altra, cioè la curva verde del miglioramento sale anche se siete stanchi. Migliorare le capacità di recupero significa tante cose: migliorare l’efficienza di ogni ripetizione in modo da sprecare meno energie in ogni sedute, migliorare le capacità di rigenerazione dei tessuti danneggiati, migliorare le capacità di trasporto dell’ossigeno e lo smaltimento delle scorie metaboliche. Di sicuro in un tempo limitato non è che “fate massa”, ma il concetto è che la fatica sistemica (curva marrone) cresce meno del previsto, con un conseguente mantenimento di certi livelli prestazionali fra seduta e seduta.

Quando voi diminuite il volume, la frequenza o qualche altro elemento di stress, il miglioramento si può manifestare: se prima ero capace a mantenere un dato livello con quel volume di lavoro, adesso posso far salire il livello perchè non ho più il volume che mi stressa.

Mi raccomando: non sto dicendo che d’ora in avanti dovete fare un sabba orgiastico a base di 50 serie di stacco in allenamento, solo che tutto, ma proprio tutto è allenabile, e la capacità di sviluppare volume di lavoro è una delle caratteristiche importanti.

Tutto si gioca sui volumi e sulle intensità, perchè a sbagliare è un attimo e lo stesso meccanismo apre le porte all’overtraining. Ma solo chi non si allena non rischia di andare in overtraining, ed è questa la sfida di tutti gli allenatori sportivi: far migliorare costantemente i loro atleti senza stressarli.

Se infatti esagerate la fatica sistemica sarà troppa e l’andamento delle vostre prestazioni sarà proprio quello del microciclo shock. Ma se fate così su base regolare state toppando, e il recupero alla fine sarà sempre di meno. Perchè è sempre il solito giochino dell’adattamento: il corpo si adatta se gli fornite stimoli tali per cui può farlo, altrimenti… soccombe per proteggervi: se la vostra mente non capisce quando è bene smetterla, lo farà il vostro corpo per voi.

Cosa succede perciò nel tempo, se ci si allena “bene”? (e voi che leggete volete allenarvi bene, no? E io che scrivo vi dirò come allenarvi “bene”, no? Eh eh eh)


Nel tempo quello che inizialmente è un periodo shock diventa meno shockante la seconda volta, e ancora meno la terza, diventando la normalità. Vediamolo su scala più grande e meno dettagliata. Ecco il risultato:


Su scala più grande, ecco ciò che accade: ritroviamo la curva della supercompensazione. E ancora, sul mesociclo e fra i mesocicli. In una preparazione seria gli allenamenti sono legati fra loro, le settimane sono legate fra loro, i periodi più lunghi sono legati fra loro. Di anno in anno ritrovo questi andamenti a tutti i livelli, curve che vanno giù e su che a loro volta sono l’inviluppo di curvettine che vanno giù e su e così via.


Ma perchè i miglioramenti si ottengono con andamenti altalenanti? Perchè il corpo umano può sfruttare le sue capacità di adattamento. La Teoria della Periodizzazione, e una comprensione più profonda della Supercompensazione (che sia la classica o la dual) non sono altro che dei modi di formalizzare in bella copia il comportamento dell’essere umano sotto stress. Il “giusto stress” va fornito in questo modo.

C’è chi questa caratteristica del suo corpo non riuscirà mai a vederla, perchè non pensa che sia possibile, ma in realtà in qualsiasi attività sportiva questo è un classico.

Conclusioni

Ok, a questo punto avete i testicoli così frantumati che potete metterli in una bottiglietta da quanto i pezzi sono piccoli. So benissimo che, come sempre, la domanda è: “ma a noi?”. Questo sarà l’oggetto del resto della trattazione. Ma prima spero di avervi convinto che aumentare la propria capacità di lavoro, nei limiti di quanto ognuno di noi può, sia possibile.

E’ da decidere se serva o meno, e, se serve, quanta ne serve. Ma intanto ci sono elementi che stabiliscono la fattibilità del tutto: una teoria della Supercompensazione un po’ più robusta di quelle che avete sempre letto.
Il messaggio con cui vi lascio è che il corpo ha una memoria, e lega, anche se voi non volete, gli allenamenti fra loro. Potete far finta che non sia così, e subìre il fenomeno, o accettarlo, comprenderlo e dominarlo.

Nel prossimo articolo spero di poter mettere in bella copia quello che per me è uno dei più potenti mezzi di allenamento, incredibilmente devastante negli effetti che ho visto su di me: la capacità di trasformare il volume in intensità

Raudo 12-02-2011 01:36 PM

ottimo post ma sono tonto e non ho capito una cosa.. la supercompensazione serve se diventa quello shock fuori dalla norma senza che diventi un abituè.. ok, ma allora se faccio degli allenamenti stesi in tre settimane di piramidali con l'ultima serie prossima allo sfinimento, passano le tre settimane e decido di fae due settimane applicando supercompensazione a tutte le fasce muscolari o principalmente a petto braccia e spalle.. in quelle due settimane, allenando tre gg la settimana, come devo stendere le serie e le ripetizioni?

andrewnox 23-01-2013 08:35 PM

ce l'hai fatta sudare sta supercompensazione eh...comunque grazie!


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